A ridosso di entrambi i conflitti mondiali, gli Stati uniti dibattevano tra le opposte visioni sul ruolo da assumere nello scenario globale, e ci si divideva tra gli isolazionisti e gli interventisti. Per i corsi e ricorsi storici, oggi, nel 2023, arriviamo a domandarci: “Tra un anno l’America annuncerà la sua uscita dalla Nato?” L’interrogativo, affatto peregrino, se lo pone Federico Rampini, giornalista e acuto osservatore delle tematiche geopolitiche: d’altronde, come è nell’incipit della riflessione che egli ha affidato al Corriere della sera, “Nulla è eterno nella storia umana”. Nel novembre del 2024, è appena il caso di ricordarlo, ci saranno le elezioni presidenziali e Joe Biden, stanco e sfiduciato e alle prese con i guai giudiziari del figlio, nei sondaggi è nettamente surclassato da Donald Trump, che a sua volta appare il candidato in pectore del Partito Repubblicano, considerando che – a un mese dall’inizio delle primarie – il distacco che infligge ai rivali, anzitutto Nikki Haley e Ron DeSantis, è davvero siderale. (Continua a leggere dopo la foto)
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La Nato? “Obsoleta e costosa”
Lo stesso Trump, in più di una occasione e già durante la sua presidenza, evocò una sorta di exit strategy dalla Alleanza atlantica, a suo tempo giudicata “obsoleta” e troppo costosa. E va detto che non era ancora scoppiato il conflitto russo-ucraino: il sostegno da parte degli Usa e della stessa Nato alla Ucraina, e il ritorno di una guerra neppure tanto fredda con la Russia di Putin, sono stati più volte stigmatizzati dal tycoon durante questi lunghi mesi. Ridurre drasticamente il coinvolgimento americano, o ritirarsi del tutto, le due opzioni più plausibili. C’è un grande timore in Europa che un secondo mandato di Trump porterebbe all’abbandono della Nato da parte degli Stati Uniti. “Dobbiamo finire il processo cominciato con la mia amministrazione volto a riconsiderare lo scopo e la missione della Nato”: è scritto esattamente così sul sito Internet della campagna presidenziale di Donald Trump. In particolare, il tema segnalato da Federico Rampini è quello del “burden-sharing” (condivisione degli oneri) e l’invito ai Paesi della Nato a contributi più cospicui è un ritornello che origina già dal suo precedente mandato alla Casa Bianca. (Continua a leggere dopo la foto)
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Il trasferimento degli oneri
In un comizio svoltosi lo scorso ottobre, il candidato repubblicano ha dichiarato che “tutti ci devono dei soldi”, vantandosi di aver minacciato in passato i leader dei Paesi membri dell’organizzazione dicendo loro che se non avessero pagato quanto dovuto gli Stati Uniti non li avrebbero difesi da un eventuale attacco della Russia. Il suo desiderio che i membri non americani aumentino ulteriormente e drasticamente le loro spese per la difesa, fa il paio con un’altra fondata paura, che aleggia da questa parte dell’Oceano Atlantico: una rivalutazione del principio fondamentale secondo cui un attacco a un membro equivale a un attacco a tutti. Il famoso articolo 5 del Patto atlantico. Secondo un retroscena pubblicato sulla rivista Rolling Stone, Trump e i suoi alleati esperti di politica stanno anche riflettendo su come ridurre drasticamente il coinvolgimento americano fino a ridurlo a una semplice posizione di “standby” nella Nato, secondo le parole dello stesso Trump. In realtà, il miliardario newyorkese ha alzato l’asticella, come si dice: ora il tema è il “burden-shifting”, dunque non più la condivisione, bensì il “trasferimento” degli oneri. “L’America se ne andrebbe dal Vecchio continente – nella sintesi che ne fa Federico Rampini – e il conto delle spese per difendersi lo passerebbe agli europei”. Una Nato guidata da europei in cui gli americani svolgono solo un ruolo di supporto: la gran parte degli elettori passati, e anche quelli ora soltanto potenziali, condivide con Trump questa visione del mondo. (Continua a leggere dopo la foto)
Le tre dottrine prevalenti
Giunti a questo punto, tre sono gli scenari della politica estera e degli impegni internazionali di un eventuale Trump bis, e Rampini li deduce da un importante studio pubblicato da Majda Ruge e Jeremy Shapiro per il prestigioso European Council on Foreign Relations. Scenario numero uno: è quello delineato dai fautori della “primacy”, cioè del primato globale degli Stati Uniti, e basti citare i falchi teocon alla George W. Bush, verso le cui guerre post 11 settembre in Iraq e Afghanistan The Donald è stato sempre aspramente critico. Segue la dottrina, che è nettamente prevalente nella destra americana, favorevole alla “restraint”, ovvero alla moderazione e dunque al ridimensionamento volontario della presenza militare americana nel mondo. Infine, secondo una terza visione, l’America dovrebbe limitare i suoi impegni nel mondo per concentrarsi su poche priorità che toccano veramente i suoi interessi strategici. (Continua a leggere dopo la foto)
Il compromesso
Una ulteriore alternativa all’abbandono tout court del Patto atlantico, un compromesso che Rampini di dice essere al centro delle discussioni dei think tank repubblicani, è lo scenario della “dormant Nato”, una Nato dormiente: gli Stati Uniti riporterebbero a casa gran parte o la totalità dei propri militari di stanza in Europa, e trasferirebbero sugli alleati europei buona parte degli oneri e responsabilità per la loro difesa, il già citato “burden-shifting”. Così, mentre la Cina incombe sullo scenario globale quale nuova superpotenza, molto attenta alle sue influenze estere, l’Europa rischia di trovarsi in una situazione alla sbando e priva dell’ombrello che sinora, per 75 anni, l’ha coperta dalle influenze esterne al blocco occidentale.
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