di Emanuele Oggioni.
L’economia italiana è un caso di studio che sorprenderà chi si è fatto lavare il cervello dal mainstream euro-centrico che ci definisce il Paese delle cicale, che ha vissuto sopra i propri mezzi. Niente di più falso, come scriviamo da tempo. Questa percezione indotta si basa tuttavia su immagini dell’economia italiana e politiche fiscali che sono in contrasto con i dati reali. Oggi a sostenerlo con numeri precisi è uno studio, che ristabilisce un po’ di verità a livello accademico internazionale, di Philipp Heimberger, PhD in economia presso la Vienna University of Economics and Business, e di Nikolaus Kowall, che ha una cattedra in macroeconomia internazionale presso l’Università di scienze applicate per l’economia, la gestione e le finanze di Vienna.
Nel corso delle crisi finanziarie dell’eurozona degli ultimi anni, troppi economisti, politici e media mainstream hanno trasmesso un’immagine falsa e distorta dell’Italia e della sua economia, cliché che i leader politici europei come i primi ministri olandese e austriaco usano ancora oggi. Questi personaggi non riescono a riconoscere che l’Italia è il secondo maggior produttore di beni industriali nell’UE, negli ultimi anni ha registrato avanzi di esportazione e ha spesso aderito più rigorosamente al regolamento fiscale dell’Unione europea rispetto a Germania, Austria o Paesi Bassi.
Ecco quindi sette dati “sorprendenti” (per un disinformato cittadino del nord Europa, e pure per qualche italiano…) sull’economia italiana di Philipp Heimberger e Nikolaus Krowall:
1. L’Italia vive al di sotto delle sue possibilità
“L’Italia vive al di là delle sue possibilità!” Questa affermazione onnipresente è prontamente supportata indicando il debito pubblico italiano, che rappresenta il 135% della sua produzione economica. Tuttavia, ciò significa solo che il settore pubblico è fortemente indebitato: non dice nulla sull’economia italiana nel suo insieme. Un paese vive al di là delle sue possibilità se importa molto più beni e servizi di quanti ne esporti a lungo termine. Un paese che esporta tanto quanto importa non vive tuttavia oltre i propri mezzi, poiché la produzione e il consumo sono in linea. In effetti, l’Italia registra le eccedenze delle esportazioni dal 2012. Le eccedenze delle esportazioni italiane non sono affatto dovute al turismo, poiché il paese esporta più beni industriali di quelli che importa. L’economia italiana quindi consuma meno di quanto produca: vive al di sotto delle sue possibilità.
2. Il debito privato non è un problema in Italia
Se l’economia italiana nel suo insieme non ha vissuto oltre i propri mezzi, il problema del debito deve essere limitato al settore pubblico. Questo è davvero il caso: il debito del settore privato italiano rispetto al prodotto interno lordo è relativamente basso per gli standard dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Il debito privato italiano in rapporto al PIL è circa la metà rispetto a paesi come Olanda, Irlanda, Svezia, Norvegia e Francia.
3. Il debito pubblico è elevato a causa di errori commessi 40 anni fa
Se l’economia non è eccessivamente indebitata, perché lo stato è così indebitato? Per quanto sia stata disastrosa la performance dei politici nazionali italiani di centrodestra e di sinistra, l’elevato debito pubblico è principalmente un lascito degli anni ’80. Da allora, lo stato italiano ha trasportato un pesante zaino per i tassi di interesse. Se escludiamo l’onere dei tassi di interesse, tuttavia, lo stato italiano ha continuato a gestire avanzi di bilancio dal 1992 (sempre in avanzo primario, come scritto qui https://www.ilparagone.it/interventi/lausterity-fa-male-lo-dicono-dalla-california-ucla-a-vienna/).
Lo stato italiano non è stato così “inaffidabile” come spesso viene affermato: ha costantemente incassato più tasse di quanto abbia speso ed è stato un contributore netto al bilancio dell’UE. Ma questa austerità fiscale ha messo sotto pressione la domanda interna e, di conseguenza, la crescita economica.
4. L’economia italiana ha sofferto da quando ha aderito all’euro
Il debito pubblico italiano è anche segnato perché la sua crescita economica è stata così debole negli ultimi 20 anni – essendo presentato come un rapporto con il PIL, se l’economia ristagna uno stato non può crescere da un pool di debiti, che era già pari a 120% del PIL nel 1995. Nel caso dell’Italia, l’introduzione dell’euro e la stagnazione dell’attività economica vanno di pari passo: la valuta comune è troppo economica per la Germania (che aumenta le esportazioni tedesche) e troppo costosa per l’Italia.
5. L’Italia ha attuato numerose riforme liberiste
Nel 2015, l’OCSE ha valutato gli “sforzi di riforma” in Italia significativamente più forti di quelli di Germania e Francia. L’economista olandese Servaas Storm prende una linea simile. In uno studio approfondito, scopre che l’Italia ha aderito molto più da vicino al regolamento politico dell’UE rispetto alla Germania o alla Francia. Di fronte all’austerità, il debito è rimasto elevato, quello che John Maynard Keynes ha definito il “paradosso della parsimonia”. Come hanno dimostrato l’economista tedesco Achim Truger e i suoi colleghi, la politica di austerità in Italia ha portato a pesanti tagli nel sistema sanitario nazionale, come visto durante la crisi di Covid-19. Inoltre, drastiche riduzioni degli investimenti pubblici hanno innescato un rallentamento della crescita della produttività italiana. Nel 2014 il governo di Matteo Renzi ha ridotto la protezione dei lavoratori contro i licenziamenti, estendendo la deregolamentazione del mercato del lavoro iniziata negli anni ’90. Secondo Storm, rendere il mercato del lavoro più “flessibile”, anche in linea con i requisiti europei, ha portato a un forte aumento dei contratti a tempo determinato, respinto i sindacati e contribuito a un calo dei salari reali, rispetto a Germania e Francia. Sia l’austerità sia le riforme liberiste del mercato hanno inibito la crescita della produttività dell’Italia e, a conti fatti, potrebbero aver causato più danni macroeconomici che benefici.
6. L’Italia è il secondo paese industriale più importante dell’UE
Può sembrare sorprendente per le orecchie del Nord Europa ma, nonostante la debole crescita della produttività e i problemi con la competitività dei prezzi nella zona euro, l’Italia ha importanti punti di forza economica. L’Italia è ancora il secondo Paese più importante dell’UE, dietro la Germania, per la produzione industriale, principalmente grazie alle imprese del nord Italia, ed il secondo esportatore netto in rapporto al PIL. Il Belpaese si colloca al terzo posto nelle esportazioni di merci, appena dietro la Francia, grazie alla sua leadership nell’ingegneria meccanica, nella costruzione di veicoli e nei prodotti farmaceutici.
7. Gli italiani non sono più ricchi di tedeschi o austriaci
Infine, si sente spesso l’argomentazione secondo cui gli italiani sono più ricchi di, per esempio, tedeschi o austriaci e dovrebbero quindi pagare da soli i propri investimenti. La concentrazione della ricchezza, ossia la maggiore disuguaglianza, distorce il dato mediano. I professori austriaci hanno preso il dato medio, ottenuto dividendo la ricchezza netta totale per il numero totale di famiglie. Il loro calcolo dimostra che la famiglia italiana media è chiaramente meno ricca che in Germania o in Austria (dati BCE). Sebbene la ricchezza privata sia inferiore in Italia, la distribuzione della ricchezza è più equa; in Germania e Austria, la ricchezza è più fortemente concentrata nelle famiglie più ricche.
Gli studiosi concludono che le false immagini dell’Italia che i Paesi del nord Europa hanno in mente quando pensano all’economia italiana spesso non sono accurate. La situazione è diventata così grave che la questione della ricostruzione dell’economia europea dopo Covid-19 ha il potenziale per fare a pezzi l’UE.