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Il lungo volo di Gozi, dal Pd alla corte di Macron tra mille sospetti

Pubblicato il 30/07/2019 12:23 - Aggiornato il 30/07/2019 13:29

Sognava la Francia un po’ come nella celebre hit California Dreamin’ degli anni Sessanta. Ed è riuscito finalmente, dopo non poche fatiche, a realizzare il suo sogno. Sandro Gozi, ex sottosegretario con delega agli Affari Europei del governo Renzi, ha infatti compiuto il grande saldo finendo a Parigi, alla corte di Macron, dove ricoprirà il medesimo incarico che aveva in Italia.

E d’altronde la sua volontà di attraversare i confini non era mai stata un mistero: in passato, Gozi aveva infatti tentato una strada più lineare candidandosi nella lista En Marche dell’attuale presidente della Repubblica francese. I risultati non erano stati dei migliori.

Nell’occasione Gozi, mostrando un non troppo marcato nazionalismo, aveva tra l’altro ammesso: “Cosa sceglierei tra una mia elezione e la vittoria dell’Italia ai Mondiali di calcio? Direi che l’Italia può aspettare”. Una figura già contestata in passato, quella dell’ex sottosegretario, indagato a San Marino per una presunta consulenza fantasma da 220 mila euro.

Stando a quanto anticipato da Le Figaro, ora rimarrà nella sede del primo ministro a Parigi in attesa di prendere posto a Bruxelles dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. Il suo compito sarà monitorare la creazione di nuove istituzioni europee e le relazioni con il Parlamento Ue, in collaborazione con il Segretariato generale per gli Affari Europei francese.

Una scelta che però non può non sollevare dubbi piuttosto inquietanti. Al servizio di chi ha operato davvero Gozi fintanto che è rimasto in carica, prima durante il mandato da premier di Renzi e poi con Gentiloni? Era al bene dell’Italia che guardava o a quello dei cugini transalpini? Il Pd ha tentato di gettare acqua sul fuoco, difendendo la professionalità dell’ex sottosegretario.

Ma i dubbi restano. Rafforzati dai tanti passaggi delicati vissuti in quegli anni sull’asse Roma-Parigi, come la perdita dell’Agenzia Europea del Farmaco, che avrebbe dovuto essere riassegnata al nostro Paese.

Per non parlare della situazione libica, con l’Italia tra i principali interlocutori del Governo di Accordo Nazionale guidato da Fayez al-Sarraj e la Francia, di contro, a vantare rapporti privilegiati con la controparte della Cirenaica, con a capo il generale Khalifa Haftar. Un duello che è anche scontro per il controllo degli interessi petroliferi. Ma anche uno scenario delicato per le questioni legate all’immigrazione, punto questo sul quale da tempo Macron fa orecchie da mercante di fronte alle richieste italiane di maggiore collaborazione.

E ancora, le tante sfide tra multinazionali francesi e italiane andate in scena in questi anni: Fincantieri-Stx, con il governo Gentiloni riuscito nel 2017 a sbloccare l’operazione ottenendo per Fincantieri il 50% di Stx più l’1% in prestito dallo Stato francese, senza però riuscire a evitare clausole che diano la possibilità al governo transalpino di mettere in difficoltà l’azienda pubblica italiana controllata dal dal Tesoro via Cassa Depositi e Prestiti. O le vicende Tim-Vivendi e Mediaset-Bolloré.

Tutte situazioni di contrasto tra i nostri interessi e quelli dell’Eliseo. Viene da chiedersi se tutti, nel governo italiano, remassero dalla stessa parte. E a quali informazioni un sottosegretario dall’indole filo-francese possa aver avuto accesso durante quei mesi delicati.

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