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Le imprese neonate e le “disattenzioni” del governo: Chi rischia di non spegnere la prima candelina

Pubblicato il 01/06/2020 16:57 - Aggiornato il 01/06/2020 16:58

di Pietro Salemi.

Secondo il rapporto Movimprese di Unioncamere1 nel 2019 sono nate 353.052 imprese. Assumendo una distribuzione tendenzialmente omogenea nel corso dell’anno solare, sarebbero oltre 200.000 le imprese nate dopo l’aprile 2019. Anche ammettendo per semplice comodità di calcolo l’ipotesi irrealistica che tutte quelle nate nei primi mesi del 2019 abbiano immediatamente dato avvio alla propria attività e considerando, in aggiunta, anche i primi mesi del 2020, è verosimile pensare che circa oltre 250.000 abbiano dato avvio alla propria attività dopo l’aprile 2019. Molte di queste (circa il 95% secondo le statistiche ISTAT sul numero totale delle imprese esistenti) sono micro o piccole imprese (rispettivamente, da 0 a 9 dipendenti e da 10 a 50 dipendenti). Ebbene, tante di queste piccole attività potrebbero non arrivare a spegnere la prima candelina di compleanno, a causa della “disattenzione” governativa le calibrare le misure di sostegno alle piccole imprese travolte dalla pandemia.

Tante critiche possono volgersi al decreto rilancio, tra cui l’insufficienza è di certo la più macroscopica. Ma alcune disposizioni si rivelano così ingiuste da essere anche di dubbia legittimità costituzionale.

Il cosiddetto decreto rilancio rischia di rivelarsi, infatti, un’estrema unzione per molte imprese, in particolarese piccole, neonate e attive nell’ambito della ristorazione, del turismo, dello spettacolo e del divertimento. Tale decreto si preoccupa, infatti, di vincolare la fruizione degli aiuti statali alla dimostrazione da parte dell’impresa di una perdita di fatturato. Tale criterio è adottato tanto nell’art. 25, disciplinante i contributi a fondo perduto, quanto nell’art. 28, disciplinante i crediti di imposta per le locazioni di immobili ad uso commerciale.

Particolarmente grave, è il risultato cui perviene quest’ultimo articolo: le imprese start up che abbiano avviatola propria attività dopo l’aprile 2019 vengono escluse dalla fruizione dei crediti d’imposta pari al 60% dell’ammontare mensile dei canoni di locazione per i mesi di marzo, aprile e maggio (per le imprese turistiche aprile, maggio e giugno). Questo perché l’imbarazzante comma 5 dell’art. 28 sancisce che “Ai soggetti locatari esercenti attività economica, il credito d’imposta spetta a condizione che abbiano subito una diminuzione del fatturato o dei corrispettivi nel mese di riferimento di almeno il cinquanta per cento rispetto allo stesso mese del periodo d’imposta precedente”. 

Il Governo ha deciso, come si diceva, di adottare il criterio della perdita di fatturato (del 50%) rispetto agli stessi mesi del 2019. Peccato, però, che le imprese che abbiano iniziato la propria attività a partire dal maggio 2019 non hanno alcun parametro di riferimenti per gli stessi mesi del 2019, semplicemente perché… non avevano ancora iniziato a lavorare!

L’esito paradossale del disposto dall’art. 28 è che si riconosca un beneficio come il credito d’imposta alle imprese già consolidate sul mercato, mentre le più deboli, quelle appena nate che non hanno ancora ripagatogli investimenti iniziale, versando in una situazione patrimoniale verosimilmente passiva, vengono (per essere buoni) “dimenticate”.

Questo non è solo grave, è semplicemente contrario all’art. 3 della Costituzione e al principio di ragionevolezza. Lo si impara al primo anno del corso di laurea in Giurisprudenza: in questo caso la Corte Costituzionale si pronuncia con sentenza additiva di principio, accogliendo il ricorso sulla legittimità costituzionale della norma (“nella parte in cui non”). Peraltro, il criterio poteva essere facilmente trovato: la riduzione di fatturato rispetto alla media mensile del fatturato risultante dal registro corrispettivi o ancor più semplicemente la sospensione dell’esercizio dell’attività causa covid.

Ma la disposizione sul credito d’imposta per gli affitti commerciali non è l’unica che penalizza le impreseneonate. Anche il contributo a fondo perduto (art. 25) “è determinato applicando una percentuale alla differenza tra l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 e l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019”. Si prevede, però, che le imprese che abbiano iniziato l’attività dopo il 1° gennaio 2019 possano fruire di un contributo forfettario a fondo perduto pari a 2000€. Peccato, anche qui, che tale importo risulti così scarno che basta avere una variazione negativa causa coviddel fatturato medio mensile (in sostituzione del criterio ‘aprile 2019’) di importo superiore a 10.000€ per risultare danneggiati rispetto ad un’attività nata prima del 2019. Circostanza ben facile da verificarsi in tutte quelle piccole imprese (fino a 400.000€ di fatturato annuo) che a causa del covid hanno dovuto del tutto sospendere le attività.

Anche qui, il criterio a cui commisurare un fondo perduto equo poteva essere molto facile da trovare: la riduzione di fatturato rispetto al fatturato medio mensile per tutte le imprese le cui attività siano iniziate successivamente al 1° gennaio 2019.

Pochezza di idea o la malafede di chi sa di avere una coperta corta e di dover scegliere chi lasciare scoperto?

Lo scopriremo in sede di conversione in legge: se queste disposizioni non saranno opportunamente emendate,sapremo per quale opzione protendere.