Il premio Nobel Joseph Stiglitz è tornato in Italia a parlare della sua specialità. L’economista americano ha criticato aspramente la logica del profitto che alimenta l’avidità e aumenta le disuguaglianze. Secondo il Nobel, infatti, «un nuovo capitalismo progressista dove promuovere l’inclusione sociale e la transizione ecologica».
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Joseph Stiglitz
L’economista americano Joseph Stiglitz, premio Nobel nel 2001, è sicuramente tra i più autorevoli nel suo campo, riconosciuto universalmente come tra i principali economisti nel dibattito pubblico internazionale. Intervistato dal Corriere della Sera, Stiglitz ha fatto la propria analisi sulla lunga serie di vicissitudini che ci hanno colpito l’Europa negli ultimi anni. Secondo il Corriere, la pandemia da Covid-19 ha promosso un ritorno dell’intervento pubblico, chiudendo un lungo ciclo neoliberista durato mezzo secolo. Sin dagli esordi l’economista è stato una delle voci più critiche verso questo approccio e sulla lunga egemonia neoliberista si esprime così: «Negli anni Settanta e Ottanta negli Usa ci fu un aspro conflitto fra economisti: io stavo dalla parte di chi sosteneva i limiti del mercato; Milton Friedman ne lodava le virtù. Secondo me non c erano proprio le basi teoriche per le tesi neoliberiste».
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L’ascesa del neoliberismo
Le tesi di Friedman, però, divennero presto dominanti: «I motivi vanno cercati nel crescente potere delle imprese e nelle vittorie di Reagan e Thatcher. Sin dagli anni Trenta, soprattutto in America il mondo imprenditoriale aveva combattuto le politiche keynesiane. Negli anni Settanta si prese la rivincita. La Reaganomics non segnò solo la sconfitta del paradigma keynesiano, ma anche l’avvio di una battaglia per la redistribuzione delle risorse a favore delle imprese e dei ceti più abbienti». Il neoliberismo, comunque, è sopravvissuto sia a Ronald Reagan che a Margaret Thatcher, secondo Stiglitz: «I leader di centrosinistra che vennero dopo non rinnegarono il neoliberismo, ma si limitarono a temperarlo. Bill Clinton teorizzò la strategia della triangolazione: ascoltare pareri sia di destra sia di sinistra e poi elaborare una “terza” posizione, presentata come sintesi delle proposte migliori di entrambe le parti. In Europa fecero lo stesso Tony Blair e Gerhard Schròder. Con il risultato che anche il centro- sinistra sviluppò venature neoliberali».
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La grande crisi economica
Quando l’Unione Europea dovette fronteggiare la crisi finanziaria, lo fece comunque con un approccio neoliberista, o meglio ordoliberale. Le élite tedesche, infatti, si fecero paladine dell’austerità, opponendosi ad ogni trasferimento fra Stati. La riforma del patto di stabilità nel 2011 diventò una vera e propria tenaglia, che rischiò di strangolare le economie più deboli. «Una unione senza trasferimenti non è una unione. L’architettura dell’euro e del patto di stabilità hanno provocato divergenza anziché convergenza. Fortunatamente il tabù del debito comune è caduto durante la pandemia. Il programma Next GenerationEU è un grande passo in avanti, ma manca ancora una struttura fiscale permanente, basata su imposte comuni sulle transazioni digitali, sui profitti, sulle grandi ricchezze».
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La guerra in Ucraina
Arrivando all’attualità, l’analisi si sposta sulla guerra in Ucraina, la quale ha certamente cambiato il quadro della situazione. L’aumento dei costi dell’energia rischia di vanificare la programmazione dei fondi NextGenerationEU e di provocare una nuova recessione. «La priorità assoluta è accelerare la transizione energetica. Ciò avrebbe un triplice vantaggio: una lotta più efficace contro il cambiamento climatico, meno dipendenza dalla Russia e più stimoli all’economia. Gli investimenti in energie rinnovabili possono creare occupazione anche per lavoratori a basse qualifiche». Come sappiamo, la riconversione energetica è tutt’altro che immediata, ma Stiglitz rimane comunque ottimista: «Molte fonti rinnovabili possono essere rese disponibili rapidamente. La pressione congiunta della guerra e dell’emergenza climatica dovrebbe spingere l’Europa verso una grande mobilitazione, come in tempi di guerra».
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Capitalismo progressista
Il premio Nobel, che è stato il primo ad utilizzare l’espressione “capitalismo progressista”, spiega quali siano i tratti distintivi di questo nuovo sistema: «I valori che ispirano il capitalismo progressista — equità, inclusione, prosperità diffusa — valgono sia per gli Usa sia per l’Europa. L’assunto di base è che il sistema economico debba porsi al servizio dei cittadini e non viceversa. Quando si dice che gli individui o la democrazia devono conformarsi alla logica di mercato, si dimentica che questa alimenta mentalità e comportamenti dominati dall’auto-interesse, dall’avidità, i quali indeboliscono la sensibilità verso i beni comuni».
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Non solo difetti
Per l’economista, capitalismo e mercato non hanno solo difetti, ma anche qualche merito: «Producono incentivi per aumentare l’efficienza, creare sempre nuovi prodotti, stimolare l’innovazione. Un’economia ben funzionante richiede un sistema produttivo decentrato, imperniato su una moltitudine di attori. Ci vuole quella che io definisco una “ricca ecologia di organizzazioni”: fra queste trovano posto anche quelle guidate dalla logica del profitto. Ma questa logica da sola può generare dinamiche di sfruttamento». Lord Beveridge, economista e sociologo britannico, diceva che la ricerca del profitto è un buon servitore ma un cattivo padrone. «Proprio così. Le imprese che producono farmaci o cibi dolci sfruttano le dipendenze delle persone, quelle che fanno auto sfruttano l’ambiente. Per questo è importante che le imprese private siano affiancate da organizzazioni senza fini di lucro, cooperative, fondazioni. E che ci sia anche lo Stato».
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L’importanza del welfare
Ma come ben sappiamo, la verità non è mai una sola e bisogna comunque fare i conti con i politici che hanno bisogno del consenso, e con i burocrati che vengono guidati dalle sole logiche amministrative. In Europa l’agenda per un «capitalismo progressista» non deve costruire il welfare state, ma riformarlo. «Durante la crisi finanziaria si disse che i problemi dell’Europa derivavano da un eccesso di protezioni sociali. Non è così. Il welfare va piuttosto rinvigorito, anche se ricalibrato. Deve occuparsi non solo degli anziani, ma anche di giovani e donne. Istruzione, formazione e inclusione sono le sfide da affrontare».
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La visione di Stiglitz
Dunque, Stiglitz chiude la sua intervista immaginando un futuro «progressista» a modo suo, che coniugherebbe eguaglianza e opportunità, protezione e promozione sociale, Stato e mercato ben regolati, dinamismo e diversità di istituzioni, logiche, contesti: «Aggiungerei pluralismo, tolleranza, conoscenza, ricerca, innovazione. E soprattutto inclusione, beni collettivi e capacità di individuare e agire secondo l’interesse generale». Che dire, una visione certamente interessante.
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