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Ecco come e quanto guadagnano i “big” di internet con i nostri dati. Ma adesso anche noi possiamo monetizzare

Pubblicato il 14/10/2019 16:11 - Aggiornato il 18/11/2019 17:28

Quanto guadagnano “loro” con i nostri dati sul web? Ormai ci siamo abituati, diamo il consenso a tutto pur di utilizzare le nostre app sugli smartphone e per navigare sui nostri siti preferiti. Totalmente ignari, o quasi, che i nostri dati personali sono in realtà la nuova moneta. E che c’è qualcuno che ci guadagna davvero molto. Sul Corriere della Sera di oggi, Milena Gabanelli e Fabio Savelli illustrano come i big di internet guadagnano sfruttando proprio i nostri dati online.

Internet è il più grande mercato nella storia dell’umanità, e ha imparato a sfruttare tutte le informazioni personali prodotte ogni volta che facciamo un clic, elaborandole in algoritmi in grado di orientare i bisogni, i comportamenti sociali, e influenzare anche le scelte politiche. Si chiama “profilazione”: una merce molto richiesta da migliaia di aziende e gruppi di pressione.

Il mercato della pubblicità online raggiungerà 300 miliardi di dollari all’anno già entro il 2020. Quello delle informazioni prodotte da oggetti connessi i 130 miliardi. Quello dell’intelligenza artificiale i 60 miliardi entro il 2025. Ecco, queste sono le cifre che ruotano intorno ai nostri clic, ai nostri dati e alla nostra privacy. Prepariamoci, inoltre, a considerare un altro fattore.

Nel giro di pochissimo tempo anche la nostra voce, i nostri occhi e le nostre impronte digitali varranno oro. Parliamo di informazioni commerciali da cui deriva l’80% del guadagno dell’intera filiera. È tutto un processo che avviene al di fuori del nostro controllo.

Una delle poche strade percorribili al momento è quella che sta portando testardamente avanti Isabella De Michelis con la sua ErnieApp. Consente agli utenti di eseguire direttamente il “codice” (della funzione che regola i consensi della privacy) sugli applicativi di Google e Facebook in modo che gli utenti possano farsi pagare per non negare i permessi.

Si tratta di una prospettiva rovesciata. Non posso farmi pagare per i miei dati? Mi faccio pagare per consentire ad altri di usarli. Weople invece prova a farci guadagnare se ci si iscrive alla sua piattaforma sottoscrivendo un contratto. Ottiene una delega per richiedere i nostri dati alle aziende con cui siamo venuti in contatto, li deposita nel nostro conto personale, li rende anonimi e li fa fruttare sul mercato senza teoricamente vendere l’identità di nessuno.

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