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Il budget familiare si deve basare sul reddito e non sulle rate

Pubblicato il 07/08/2019 15:30
di Vincenzo Imperatore

“Nella frenesia dei tempi moderni nessuno più si domanda o si rende conto di quanti prestiti, piccoli o grandi, stiamo cumulando… Già, la nostra vita sta diventando sempre più una vita a rate, una vita in prestito. Ma l’affare chi lo sta facendo? Ci sono famiglie che hanno impegnato più di quello avrebbero potuto: persino le cure sanitarie si cominciano a pagare a rate. Perché?”

“È tutto casuale, segno appunto dei tempi moderni – come piace dire a qualcuno – oppure è una tentazione in atto da decenni, attraverso una sapiente operazione di marketing, per sostituire i tuoi diritti (il lavoro, la giusta retribuzione, la privacy…) con loro concessioni? Il mondo della finanza, con i suoi prodotti sempre più sofisticati ci sta spingendo a un progressivo indebitamento per poi accusarci proprio di non potercelo mantenere”.

“E allora, quando non ce la fai più, ecco il patatrac: sei disposto ad accettare qualsiasi umiliazione dei tuoi diritti pur di non saltare. Vale per le famiglie, per le imprese, per i commercianti. E persino per lo Stato”. Questo è un estrapolato del libro La vita a rate (Piemme) di Gianluigi Paragone, oltre che ad essere la semplice verità. È dagli anni Novanta che ci dicono che tutto è possibile anche al di sopra delle nostre capacità reddituali, che ci portano sulla soglia dei beni voluttuosi e ci dicono che possiamo colmare la distanza economica, il gap, con una differenza rateale.

Guadagno 1.000 ma posso permettermi la macchina di 100.000 perché dilaziono il pagamento; stessa cosa per la casa (bene di prima necessità), per il telefono, per il televisore, per le vacanze. Gli acquisti a rate sono un fardello gravoso per il budget familiare, presentano rischi legati ai prodotti che li agevolano (tipo carte revolving) e, soprattutto, perché fare debito per consumare è un comportamento nocivo. Più mi indebito, più pagherò un conto salato in futuro.

Chiariamo subito un concetto: non sono contrario al credito. Nell’economia moderna è uno strumento utile quando è destinato alla produzione e alla creazione di ricchezza attraverso l’attività professionale o d’impresa: prendendo a prestito un certo capitale su cui paga un determinato interesse, un’azienda sa che investendolo può ottenere un ritorno superiore all’interesse pagato sul prestito, accrescendo così la ricchezza complessiva dell’impresa stessa.

Situazione completamente diversa, invece, è il credito al consumo per i cittadini, che in questo caso non fanno un debito per investire nella produzione di maggiore ricchezza, ma solo per consumare. Pertanto il loro debito non sarà altro che un pegno, un vincolo sulle loro entrate future, perché stanno “vendendo” il loro benessere futuro a chi gli fa credito per acquistare, per esempio, il megatelevisore, l’aspirapolvere di ultima generazione o lo smartphone griffato.

In questo gioco del credito (al consumo) a voi sembra che vincano tutti: il negoziante che vende di più, la finanziaria con gli interessi, il consumatore che può arrivare a ciò che non potrebbe permettersi. Sbagliato. Ogni fenomeno finanziario è a somma zero, c’è chi vince e c’e’ chi perde. Qui a perderci c’è solo il consumatore. Il cittadino non chiede credito per produrre ricchezza ma per consumare, quindi non c’è un investimento ma un pegno, un vincolo sulle entrate future, vendono il loro futuro a chi gli fa credito.

Immaginatevi a vendere le vostre future ore di lavoro per acquistare un televisore, è così. Conosco gente che pagano rete mensili uguali o superiori al proprio stipendio, altri che vogliono rimodulare i loro debiti perché non riescono a sostenerli. Queste persone sono schiavi, schiavi per un televisore. Sapete perché i prodotti che acquistate a rate costano meno? Come mai i rivenditori il più delle volte insistono affinché li compriate in questo modo? Perché ci guadagnano.

Le società finanziare, hanno iniettato droga nel sistema affidandosi ai rivenditori “pusher”. Il rivenditore ha una commissione sui i finanziamenti, cosi guadagna sia dalla commissione, sia dalla vendita del prodotto e può permettersi un prezzo più basso. Il mio consiglio, per una sana gestione del bilancio familiare (e non solo), è di limitare questi acquisti, questo tipo di acquisto. Come specificato nel mio ultimo libro Soldi Gratis (Sperling&Kupfer), adottate la regola delle due settimane.

Avete il desiderio di comprare qualcosa, non fatelo, non fatelo per due settimane. Quando vi sentite spinti a comprare qualcosa perché credete che vi serva o che sia utile, sospendete momentaneamente l’acquisto spiegando al negoziante che ritornerete tra due settimane. Se dopo questo periodo sarete ancora dell’idea che il bene vi occorra e che vada acquistato, allora fatelo.

In caso contrario, scoprirete che era solo un acquisto compulsivo, dettato dalle pressioni commerciali e non da una vostra reale esigenza. È una sana abitudine che funziona molto bene, da insegnare anche ai vostri figli, soprattutto ai nativi digitali, che subiscono più di noi questo bombardamento.

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