Banche spiazzate, che si trovano a fare i conti con un’economia dalle reazioni meno prevedibili che in passato. Questa la sensazione che arriva da Jackson Hole, il simposio degli istituti a stelle e strisce organizzato dalla Fed di Kansas City e intitolato quest’anno “Sfide per la politica monetaria”, un titolo che è anche una fotografia di una situazione attuale segnata da un’inflazione che non risale e da tassi sempre più negativi.
La politica monetaria, per anni iperespansiva, non ha visto la base monetaria trasformarsi in offerta di moneta e i prezzi non sono saliti. Le quattro maggiori banche centrali hanno acquistato titoli ma il successo è stato limitato. Almeno cinque istituti, poi, hanno introdotto tassi negativi. Il mondo, insomma, sembra ormai essersi abituato a pagare per investire, per quanto paradossale sia: a dimostrarlo, anche il fatto che i titoli pubblici decennali spesso offrano rendimenti negativi e oltre il -1%.
Gli appelli dei banchieri non bastano più e così sono tornate le pressioni del mondo politico per dei pronti interventi. A questo si aggiunge la politica di forza di Trump, che sta spingendo a una fuga verso gli asset più sicuri. Il rialzo del dollaro, coerente anche con l’introduzione dei dazi e l’aumento delle esportazioni, ha già spunto il presidente Usa e chiedere il taglio di un punto percentuale.
Come spiega il Sole 24 Ore, il rialzo dei prezzi dei titoli di Stato sta invertendo la curva, con i decennali americani a rendere meno dei bill a tre mesi. L’inversione dei rendimenti può annunciare una recessione entro dodici mesi. Secondo la Fed di Cleveland, la possibilità di una crisi negli Usa si aggira intorno al 35%. E nonostante al momento i campanelli d’allarme non siano così evidenti, i mercati sono entrati lo stesso in fibrillazione, così come le banche centrali.
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