Ci sono una serie di interrogativi che il ritorno in Italia di Silvia Romano stanno sollevando in queste ore, una volta che la ragazza è tornata nel suo Paese dopo 18 mesi di prigionia. Un caso chiuso con sorrisi, telecamere a immortalare rapide il lieto fine, il governo Conte in festa a godersi qualche momenti di gloria in mezzo al caos di una Fase 2 che sta scontentando il Paese, sempre più disperato. E del quale, però, alcune ombre continuano a non sparire. A partire da quella conversione all’Islam annunciata dalla stessa Romano al momento della sua liberazione e, stando alla ricostruzione della diretta interessata, totalmente volontaria, senza costrizioni.
Chiariamoci, convertirsi all’Islam, al suo volto più umano e pacifico, scelta che sarebbe eventualmente perfettamente personale e insindacabile. Ma resta difficile credere che la giovane abbia abbracciato con entusiasmo e in totale libertà la fede di chi l’ha strappata di colpo dal mondo, tenendola in ostaggio per un periodo così lungo. Un interrogativo che si è posto, attraverso le pagine di Repubblica, anche lo scrittore tunisino Tahar Ben Jelloun. Il gruppo responsabile del sequestro, i jihadisti di al-Shabaab, abbraccia gli aspetti più estremi e spietati della religione, trasformandola in lotta armata contro quell’Occidente che metterebbe a rischio la sopravvivenza del loro credo. Difficile immaginare come, spiega l’intellettuale, agli occhi di chi viene dall’Italia e conduce un’esistenza tranquilla una simile idea possa avere degli aspetti affascinanti, al punto da essere fatta propria senza costrizioni.
Basta una breve ricerca online per capire come il gruppo sia tra i più radicali e pericolosi tra quelli che operano nel sud dell’Africa. Il trattamento riservato alle donne, per esempio, è terribile e ben sintetizzato da foto che fanno il giro del web da tempo. Il cui portavoce non ha nascosto che i soldi del riscatto di Silvia, che oggi si fa chiamare Aisha, serviranno a fare la jihad. Le sue immagini con il velo, al momento di sbarcare, faranno da cassa di risonanza per al-Shabaab, saranno una preziosa pubblicità per dimostrare l’efficacia dei propri metodi. Un’organizzazione criminale che causerà sicuramente ulteriori vittime, altro dolore, ma che per fortuna noi non vedremo e non sentiremo vicino e quindi, tutto sommato, potremo ignorare.
Silvia oggi si fa chiamare Aisha e si dice consapevole e felice di essere tornata a casa. Non resta che aspettare qualche giorno ancora per capire se davvero non ci siano, dietro questa brutta storia di rapimenti e ricatti allo Stato italiano, dei lati oscuri non ancora emersi, nascosti dietro le prime parole della Romano che ha chiarito di non aver subito violenze o imposizioni. Come da chiarire è il modo di operare delle onlus all’estero: il governo è al corrente di tutte loro e di come operano? Di come la ragazza, volontaria, sia finita a operare da sola in un villaggio, senza protezioni né altri occidentali intorno a scoraggiare eventuali azioni criminali? Il tutto in attesa che sia lei, Silvia, a sgombrare ogni dubbio. E a spiegarci con calma, una volta tornata alla normalità, se davvero le sue scelte di questi mesi sono state spontanee o se non sia il caso di rinnegare quanto fatto e lasciarsi alle spalle una storia più brutta di come la si vuole raccontare.
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