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Un pasticcio chiamato intersex

Pubblicato il 02/08/2024 11:25

“Non è giusto”. Una frase semplicemente potente, una frase che – stavolta lo possiamo dire – da sola sarebbe un colpo da ko ai danni di uno sport un tempo nobile e oggi così in crisi da uscire dal prossimo caleidoscopio olimpico.
Non è giusto, ha detto Angela Carini quando ha dovuto incrociare i guantoni contro Imane Khelif, atleta algerina di cui non si può definire con precisione il sesso. Uomo, donna, trans? Intersex, ci dicono per arricchire il nostro vocabolario sessuale e identitario.
Intersex, per dire tutto e nulla, per essere oltre il binario, già messo abbondantemente in crisi da sigle e asterischi in nome di battaglie sui diritti che richiedono la velocità dei Concorde. Ma qui c’è ben poco da discutere di diritti universali, qui c’è da fare i conti con un contesto, quello olimpico, che divide nei due generi il medagliere: maschi e femmine. Non solo, Angela Carini e Imane Khelif si scontrano in uno sport, la boxe, che divide addirittura per peso. Insomma, è l’algebra dello sport e delle Olimpiadi a cristallizzare le differenze di genere e non solo al fine di non snaturare la competizione. Poi che cosa accade? Che una donna con sembianze da uomo – già esclusa dai mondiali perché non si poteva definire con esattezza il genere – salga su quel ring nelle competizioni femminili e distorca l’equilibrio. Anzi, gli equilibri visto che il ritiro dal match della Carini è già oggetto di doppie e triple letture “politiche”. Doveva continuare a combattere, doveva ritirarsi subito per mettere ancor più in imbarazzo una organizzazione tra le peggiori viste nelle ultime edizioni.

I fatti sono abbastanza chiari. L’atleta italiana aveva capito presto l’antifona della storia e siccome gareggia in uno sport dove ci si piglia a cazzotti (non è il nuoto sincronizzato per capirci…) ha preferito non andare oltre. Giustamente, dico io perché le tragedie sui ring sono un fulmine a ciel sereno.
“Poteva finire il round”, dice qualcuno (forse anche l’allenatore) che evidentemente non ha chiara la differenza tra un sacco e il proprio naso. Lei sì, e si è arresa perché il Comitato olimpico non protegge le atlete in uno sport – lo ripeto fino alla noia – che non si cura del politicamente corretto e divide in maschi e femmine, e separa le carriere a seconda del peso.
Non ha senso fare la guerra al doping (i dubbi per esempio sul velocissimo nuotatore cinese Pan) quando poi non si apre una riflessione su questi casi: qui siamo nel caso dell’intersex, ma poi ci sono i casi transex e quelli di altre fluidità. Se il mondo dello sport vuole superare la dicotomia tra maschi e femmine allora apra il dibattito sull’opzione medagliere X, così il politicamente corretto è salvo. Almeno fino al prossimo pasticcio.