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Le bufale sul Recovery Fund ci porteranno alla patrimoniale

Pubblicato il 01/06/2020 17:16 - Aggiornato il 01/06/2020 17:20

di Gianluigi Paragone.

Sono bastate poche ore per smorzare i toni trionfalistici sul bazooka del Recuvery Fund e riportare l’Unione europea nel suo contesto naturale ovvero un imbroglio politico. Se la via d’uscita per rialzarsi dall’emergenza Covid doveva essere la prova di maturità per la Ue, l’esito è impietoso: non ci sarà nessuna pioggia di soldi, non ci saranno atti d’amore e slanci di generosità. Le insanabili diffidenze politico/culturali e le macroscopiche differenze economico-sociali stritolano il nord e il sud Europa tenendolo fratturato, con la conseguenza che l’ingannevole equivoco resta a galla provocando il collasso delle economie e la rabbia sociale.

In tanti stanno facendo credere – chi in buonafede chi in malafede – che il governo italiano avrà a disposizione un cospicuo assegno per mezzo del quale risolvere i problemi dell’economia reale, delle famiglie, dei lavoratori in crisi. Insomma c’è chi crede o sta facendo credere che l’Europa è diventata buona, si è trasformata in una grande mamma che protegge. L’emergenza coronavirus – secondo la vulgata – avrebbe aggiustato Bruxelles riparandola laddove la crisi finanziaria non riuscì a fare. Niente di tutto questo, però, è reale. E proprio le panzane raccontate sul Recovery Fund lo dimostrano. Primo, non c’è nessun assegnone da spendere come invece stanno facendo in America, in Gran Bretagna e in tutti gli altri Paesi dove non si ha paura di stampare illimitatamente.

Secondo, l’atterraggio del Recovery arriverà solo entro il primo trimestre 2021 ma non si sa con quali caratteristiche. Partiamo da qui. Il Recovery potrebbe non arrivare a destinazione nella stessa formulazione con cui è partito: a breve infatti si aprirà la trattativa e non credo che il famoso asse del Nord sarà benevolo. Giusto per capire l’aria che tira, un famoso magazine olandese ha messo in copertina il solito refrain contro i paesi del Sud Europa che non farebbero nulla: nulla di più di quel che Djissembloem (allora presidente dell’Eurogruppo, oggi presidente del consiglio dei governatori del Mes) ebbe a dire sulle spese dei paesi mediterranei avvezzi a “spendere tutto in alcol e donne”. Una perla tra le tante che arrivano dal fronte settentrionale.
Terminata la trattativa, poi si passerà al voto parlamentare di ratifica esattamente come previsto per tutti i programmi, Sure compreso. Insomma, il consueto groviglio che mal si combina con la velocità dei tempi che la crisi detta.


Quanto ai soldi, dicevamo, le cifre generose vanno prese con le molle. Soprattutto dove si pensa a un bazooka o ad atti particolare generosità: sempre di soldi presi in prestito da qualcuno si tratta e quindi da restituire con tasse; l’unico vantaggio è un tasso di interesse “competitivo” ma siamo alla morfina che allevia le sofferenze, nulla di più. Precisato ciò, va aggiunto che il “porcellino” del Recovery è fermamente legato a progetti che devono essere approvati dalla Commissione, non una disponibilità di denaro per far fronte a un’economia incagliata.

Niente soldi per far ripartire pmi e commercio. Faccio un esempio: chi aspetta i soldi dallo Stato per aver fornito una prestazione (costruzione di una strada, piuttosto che di una scuola, piuttosto che lo smaltimento dei rifiuti o altro ancora) e non viene pagato, continuerà a non essere pagato e non potrà nemmeno contare su una compensazione o la garanzia pubblica per ottenere una linea di credito dalle banche. Insomma, non cambia nulla se non il pressing comunicativo nella speranza di recuperare il feeling tra i cittadini e l’Unione europea.

Che quei soldi non basteranno lo si capisce anche dal rinnovato dibattito sul Mes, il quale galleggia a Palazzo Chigi ma è pronto per essere usato in barba ai mal di pancia all’interno del Movimento: Conte, Di Maio and company sanno che alla fine anche i più duri e puri se ne faranno una ragione. Al grido di il sistema si è stretto a coorte col cappello in mano perché – secondo costoro – è meglio morire europeisti che morire di fame, non ammettendo che finora proprio le fantasticherie unioniste hanno impoverito e stanno impoverendo gli italiani arricchendo le élite. Proprio per questo motivo saranno pronti a far pagare ai risparmiatori italiani una bella patrimoniale come ultimo sacrificio. I famosi Paesi austeri non vedono l’ora.