“Renderci indipendenti dalla Russia e dal suo gas”. Una frase che sentiamo ripetere ormai quotidianamente da quando è esplosa la crisi in Ucraina, in un alternarsi sempre più frenetico di analisi, previsioni e programmi dettati da questo o quell’esperto che si dice in possesso della formula magica per sganciare definitivamente l’Italia da Putin. Eppure, a pensarci bene, la soluzione a tutti i problemi l’abbiamo sempre avuta in casa. Peccato che, come sempre, i nostri governanti non se ne siano mai accorti, portandoci alla paradossale situazione per cui le tubazioni non mancano, al contrario dei contratti per riempirle.
Come spiegato da Jacopo Gilberto sulle pagine del Sole 24 Ore, infatti, molte infrastrutture italiane oggi lavorano in realtà a mezzo servizio. Con l’emergenza russa che ha riaperto il tema del trasporto del gas: la capacità di importazione del nostro Paese “è di circa 115 miliardi di metri cubi l’anno su un consumo che nel 2021 è stato di 76,1 miliardi di metri cubi, compresi i giacimenti nazionali ormai spompati e bisognosi di investimenti per riprendere fiato. Se mancasse il metano russo – 29,06 miliardi di metri cubi nel 2021 – le altre infrastrutture di importazione sarebbero sufficienti per continuare ad alimentare di energia l’Italia”.
Oltre al gasdotto che attraversando Ucraina e Austria arriva al passo del Tarvisio, l’Italia dispone di tubature e rigassificatori “per altri 84 miliardi di metri cubi, ben oltre il fabbisogno”. Peccato, però, che queste infrastrutture lavorino in realtà a mezzo servizio visto che a mancare è il gas, non i modi per farlo arrivare. Proprio per questo Luigi Di Maio, in questi giorni, ha incontrato gli esponenti dei governi di Algeria, Libia e Arzebaigian, cercando di strappare rassicurazioni a dei fornitori alternativi alla Russia. Guardando a quanto accaduto negli ultimi anni, resta però la sensazione dell’ennesima, grande occasione sprecata: si fossero cercate per tempo soluzioni diverse da Mosca, oggi saremmo in grado di affrontare la crisi con bel altro spirito, senza temere ulteriori, insostenibili stangate per le famiglie.
C’è poi un altro tema. Nel 2005, quando in Italia l’unico rigassificatore era quello di Panigaglia, erano sul tavolo decine di progetti per la realizzazione di nuovi impianti, la maggior parte dei quali poi accantonati per precise volontà della classe politica. A Livorno, ricorda il Sole 24 Ore, c’erano addirittura due possibili alternative, con la Shell e la Erg che spingevano invece per la realizzazione di strutture a Priolo, la British Gas che puntava su un terminale a Brindisi (idea che interessava anche l’Enel), la spagnola Endesa in corsa a Monfalcone, Gas Natural interessata a investire nel golfo di Trieste e a Taranto e altri progetti in ballo a Gioia Tauro, San Ferdinando e Porto Empedocle. Tutte idee alla fine naufragate.
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