Paolo Biondani e Leo Sisti hanno pubblicato su L’Espresso un’inchiesta esplosiva su Uber, il colosso multinazionale che ha rivoluzionato il sistema dei trasporti privati con le nuove tecnologie di Internet. È un’app conosciutissima e utilizzatissima e che in Italia soprattutto ha creato non pochi problemi, soprattutto al settore dei taxi. Cosa emerge dalle carte segrete? Scrive L’Espresso: “Lavoratori sfruttati, sottopagati, spiati, licenziati senza preavviso né giustificazione. Programmi segreti per bloccare i computer aziendali durante le perquisizioni di polizia. Soldi spostati nei paradisi fiscali per non pagare le tasse, mentre nei bilanci ufficiali vengono esposte perdite miliardarie. Accordi da centinaia di milioni con gli oligarchi e i banchieri russi più vicini a Putin. E una massiccia attività di lobby per reclutare politici, comprare consensi, condizionare e orientare leggi e regolamenti in tutto il mondo”. Sono questi i segreti di Uber. (Continua a leggere dopo la foto)
La multinazionale, si diceva, proprio in Italia in questi giorni è al centro delle proteste e degli scioperi dei sindacati dei taxi, che accusano il governo Draghi di aver varato una riforma su misura, ora all’esame finale del Parlamento, per favorire il colosso californiano. “Uber Files è il nome di questa inchiesta giornalistica che ha unito più di 180 cronisti di 44 testate internazionali, tra cui L’Espresso in esclusiva per l’Italia. I reporter di 29 nazioni hanno analizzato per più di sei mesi, insieme, oltre 124 mila documenti interni della multinazionale, ottenuti dal quotidiano inglese The Guardian e condivisi con l’International Consortium of Investigative Journalists (Icij). Le notizie scoperte grazie a questo lavoro collettivo è basato su materiale che va dal 2013 al 2017 e comprende circa 83 mila email dei manager di Uber: quattro anni di messaggi e comunicazioni riservate che rivelano, in particolare, le pressioni su politici e amministratori pubblici di decine di nazioni, per evitare procedimenti giudiziari e piegare le norme statali agli interessi della multinazionale”. (Continua a leggere dopo la foto)
Casi mai emersi prima, che chiamano in causa personalità di altissimo livello “come l’attuale presidente francese Emmanuel Macron e l’ex vicepresidente della Commissione europea Neelie Kroos. «Italy – Operation Renzi» è il nome in codice di una campagna di pressione organizzata dalla multinazionale, dal 2014 e il 2016, con l’obiettivo di agganciare e condizionare l’allora presidente del consiglio e alcuni ministri e parlamentari del Pd. Nelle mail dei manager americani, Matteo Renzi viene definito «un entusiastico sostenitore di Uber». Per avvicinare l’allora capo del governo italiano la multinazionale ha utilizzato, oltre ai propri lobbisti, personalità istituzionali come John Phillips, in quegli anni ambasciatore degli Stati Uniti a Roma. Il leader di Italia Viva ha risposto alle domande de L’Espresso spiegando di non aver «mai seguito personalmente» le questioni dei taxi e dei trasporti, che venivano gestite «a livello ministeriale, non dal primo ministro». Renzi conferma di aver incontrato più volte l’ambasciatore Phillips, ma non ricorda di aver mai parlato di Uber con lui o con altri lobbisti americani. E comunque il governo Renzi non ha approvato alcun provvedimento a favore del colosso californiano”. (Continua a leggere dopo la foto)
“Un autorevole intervento politico a favore di Uber risulta documentato in Francia, che nel 2015 era attraversata da un’ondata di proteste dei taxi contro la multinazionale americana, con motivazioni molto simili alle agitazioni di oggi in Italia. Dopo giorni di scontri in diverse città, il 20 ottobre le autorità di Marsiglia decisero di sospendere Uber, dichiarando illegale la sua attività per mancanza delle licenze pubbliche richieste dalla legge francese (come da quella italiana, in attesa della prevista riforma) per tutti i tassisti e autisti privati. Il giorno dopo, il manager Mark MacGann, responsabile delle politiche aziendali di Uber in Europa, ha mandato una mail a Macron, allora ministro dell’Economia, chiedendogli apertamente di intervenire sulla prefettura. Macron gli ha risposto alle 6.54 del mattino del 22 ottobre 2015, con questo messaggio: «Me ne occuperò personalmente. Restiamo calmi in questo momento». La sera stessa, le autorità di Marsiglia hanno modificato il provvedimento in un modo che i manager di Uber hanno festeggiato come una vittoria. A quel punto MacGann ha ringraziato personalmente Macron per la «buona cooperazione del suo ufficio»: «Grazie per il vostro supporto»”. (Continua a leggere dopo la foto)
Il caso francese non è isolato: è la prassi di questa multinazionale. “Negli Uber Files si legge che tra il 2014 e il 2016 i manager e i lobbisti di Uber hanno avuto più di 100 incontri riservati con leader politici ed esponenti delle istituzioni di decine di nazioni, tra cui almeno 12 rappresentanti della Commissione europea. Questi «meeting» non erano mai stati rivelati prima d’ora. Dalle carte aziendali emerge una schedatura di oltre 1.800 esponenti della politica e delle istituzioni di mezzo mondo che vengono indicati come obiettivi delle attività di lobby della multinazionale. I documenti mostrano che in quegli anni i massimi dirigenti della società hanno incontrato, tra gli altri, l’allora vicepresidente americano Joe Biden, il capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu, il primo ministro irlandese Enda Kenny, il presidente dell’Estonia Toomas Hendrik e molti altri leader allora in carica, chiedendo a tutti di cambiare leggi o pronunciarsi a favore della multinazionale”. (Continua a leggere dopo la foto)
“Il colosso americano del noleggio di autisti ha assunto decine di ex politici e funzionari pubblici, trasformandoli in propri manager e lobbisti. Un caso esemplare riguarda Neelie Kroes, che è stata ministro dei trasporti nel governo olandese e vicepresidente della Commissione europea con delega alla concorrenza fino all’ottobre 2014, con competenze strategiche per Uber. Cessata la carica pubblica, le regole della Ue vietano di farsi assumere da aziende private per almeno 18 mesi, per evitare conflitti d’interesse. Un anno dopo aver lasciato la Commissione, Kroes ha chiesto di essere autorizzata a ottenere entrare nel comitato dei consulenti di Uber con un contratto retribuito. La Commissione ha respinto la sua richiesta. Gli Uber Files ora rivelano che in quel periodo, nonostante il divieto, Neelie Kroes ha fatto pressioni su un ministro e altri esponenti del governo olandese «per obbligare le autorità di controllo e la polizia a lasciar cadere» un’indagine sulla sede europea di Uber ad Amsterdam, come si legge nelle carte”. (Continua a leggere dopo la foto)
“Tra il 2013 e il 2017, nei quattro anni coperti dagli Uber Files, la multinazionale americana ha lanciato un’aggressiva strategia di conquista di nuovi mercati, scontrandosi con le leggi e le autorità di controllo in diversi paesi, dall’Europa all’India, dalla Thailandia agli stessi Stati Uniti. Per affermarsi e sconfiggere la concorrenza dei taxi, ha adottato una filosofia aziendale del fatto compiuto, che viene riassunta dagli stessi top manager di Uber con frasi sconcertanti. «Siamo fottutamente illegali». «Meglio chiedere il perdono che il permesso». «Prima partiamo con l’attività, poi arriva la tempesta di merda delle regole e controlli». Le carte interne della multinazionale descrivono anche un programma informatico segreto, chiamato in gergo «Kill switch», che interrompe i collegamenti con la rete dei computer aziendali e impedisce alle forze di polizia di acquisire i dati in caso di perquisizioni o controlli”. Dall’Europa all’Asia, dall’Africa al Sudamerica, l’arrivo di Uber, che ha potuto approfittare della mancanza di regole e controlli degli Stati nazionali sulle piattaforme di Internet, ha scatenato ondate di proteste delle organizzazioni dei taxi e degli autisti privati, che per lavorare hanno invece bisogno di ottenere costose e contingentate licenze pubbliche. (Continua a leggere dopo la foto)
Un’indagine penale della Guardia di Finanza e della Procura di Milano, con il pm Paolo Storari, ha portato al commissariamento, dall’aprile 2020 al marzo 2021, di Uber Italy. “La filiale italiana della multinazionale è stata sottoposta ad amministrazione giudiziaria con l’accusa-shock di caporalato, cioè di sfruttamento criminale della manodopera attraverso un giro di intermediari. Le vittime sono decine di immigrati molto poveri, africani e asiatici, che dal 2018 al 2020 consegnavano cibo in bicicletta, a Milano, Torino, Roma e altre città, per salari bassissimi (3 euro a consegna, per qualsiasi distanza, per un totale di 300-400 euro al mese al massimo) senza ottenere contratti, assicurazioni, misure di sicurezza e contributi sanitari e pensionistici. Gli intermediari sono già stati condannati in tribunale, mentre una dirigente di Uber è in attesa del processo di primo grado e si proclama innocente”.
Si invita alla lettura completa dell’inchiesta su L’Espresso.
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