Ci avevano raccontato, tra le altre balle, che il Covid sarebbe stato un’occasione per tornare a investire nella sanità pubblica. Una sanità distrutta da anni di tagli al personale e ai fondi, che ha chiuso ospedali e perso posti letto. Un settore che sta andando sempre più verso la privatizzazione e che certifica un’altra tremenda verità: chi è ricco vive più a lungo, chi è povero crepa prima. Non è solo elucubrazione, è quello che certificano i dati Istat. Per la prima volta, l’istituto di statistica ha incrociato i dati sulla mortalità con le condizioni sanitarie e sociali dei defunti. Il risultato? Impietoso. I dati sulle morti per malattia fra gli italiani over 30 rivelano che gli adulti che non hanno studiato al di là delle elementari sono solo un quinto della popolazione, ma, nel 2019, rappresentavano i tre quinti dei decessi. Tradotto? Nel 2019, quindi prima della pandemia, si contava un morto ogni 23 persone fra gli adulti con la licenza elementare: il 4,3% del totale di quegli adulti. E fra i laureati? Un decesso ogni 201, ovvero lo 0,5%. Ne deriva la conseguenza logica che chi occupa una fascia più bassa della società ha dieci volte più probabilità di morire per malattia di un laureato. (Continua a leggere dopo la foto)
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La differenza, ovviamente, non sta nel titolo di studio, ma nel lavoro che si andrà poi a fare, nel censo, nella casella sociale che si occupa. Chi è ricco può permettersi visite e cure private, chi è povero no, quindi è costretto a morire, soprattutto in un momento in cui la sanità pubblica è inceppata e ha liste d’attesa lunghissime e carenza di chirurghi. L’Istat ha calcolato un tasso standardizzato di mortalità: in Italia, nel 2019, ci sono stati 122,3 decessi ogni 10 mila abitanti. Ma il tasso standardizzato di mortalità (a prescindere, dunque, dall’incidenza dell’età sulla scolarizzazione) è di 135 su 10 mila fra chi ha la licenza elementare e un più rassicurante 104,4 per i laureati. I dati Istat ci dicono, quindi, che la speranza di vita è direttamente legata al reddito. Un fallimento disarmante per un Paese democratico e civile. (Continua a leggere dopo la foto)
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Sanità, l’Istat e la differenza choc tra ricchi e poveri
Guardando alle cause più comuni di morte per malattia, sempre l’Istat rivela che un terzo dei decessi è conseguenza di difficoltà del sistema cardiovascolare, appena meno, il 30%, si deve ai tumori; il 10% a insufficienze respiratorie. Spiega Repubblica commentando lo studio: “Per ognuna di queste cause, la classifica dei decessi vede in testa chi ha la licenza elementare e in coda chi ha la laurea. La spiegazione è semplice. Cuore, tumori, polmoni. Le malattie più letali sono proprio quelle in cui la differenza decisiva la fanno la prevenzione, la diagnosi precoce, le terapie tempestive”. Si possono continuare a fare Tac e risonanze magnetiche a distanza di un anno? No, perché nel mentre il povero che non può andare dal privato muore. E ancora: “Il 60% delle visite specialistiche avviene al di fuori delle strutture pubbliche. Ovvero, a pagamento. Infatti, ancora l’Istat certifica che una percentuale altissima, il 7%, degli italiani rinuncia a prestazioni specialistiche di cui, pure, pensa di aver bisogno, o per via delle liste di attesa o per motivi economici. Ma questa percentuale arriva all’11,6% per le persone meno agiate, cioè più di una su dieci”.
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