È strano, in molti sembrano non aver ancora capito chi è Matteo Renzi. Anche in questa sua ultima trovata, la scissione dal Pd e la fondazione del suo partito personale Italia Viva, c’è qualcosa dietro che sfugge ai più. Al netto delle sue dichiarazioni, la sostanza della sua mossa è una sola: il potere. Partiamo da un primo punto fondamentale. Dice Renzi: “Perché continuiamo a tenere divise Leonardo-Finmeccanica e Fincantieri? Che senso ha? Non rischiamo di farci mangiare da partner europei che investono più di noi sullo spazio e sulla difesa?”.
L’ex premier ha fretta di definire il proprio perimetro di competenza, perché in ballo non ci sono scelte politiche, ma soprattutto le nomine. E sono quelle a interessargli maggiormente: gestire le partecipate, piazzare i propri uomini di fiducia. Ciò che conta per Renzi è dunque essere sempre al centro.
Renzi non ha alcuna idea precisa per ora, ma ciò che gli premeva di più nell’annunciare la nascita del suo partito e concedere queste lunghe interviste, era mandare un messaggio rivolto a tutti i manager pubblici. Un invito abbastanza palese a convertirsi tutti (di nuovo) al renzisimo. Tradotto è: “La stanza dei bottoni la gestisco io. E solo io deciderò le strategie e gli accordi con i Paesi esteri, che contano. Ad esempio il Qatar o l’ Arabia Saudita”.
In questo modo Renzi punta all’Eni e a coordinare le altre partecipate dell’energia come Enel (anch’essa citata nell’intervista). Stavolta al fianco di Renzi ci saranno gli uomini che in passato hanno collaborato con Silvio Berlusconi. Non gli basterà incamerare nella sua casa diversi esponenti di Forza Italia: gli servono manager, imprenditori, uomini potenti.
In tutto questo, come reagirà Mattarella? Il presidente della Repubblica scenderà a patti o farà muro?
La spregiudicatezza di Renzi rischia di far saltare il banco e quindi di spezzare il piano filoeuropeista imbastito dalle parti del Quirinale, che ora comincia a scarseggiare di assi nella manica.
Ma quel che appare evidente, è che Renzi farà di tutto per tenere in piedi l’esecutivo almeno fino al 2022. Perché? Perché nel 2022 c’è un’altra nomina importante: il presidente della Repubblica. E anche lì lui vorrà avere il suo peso e decidere.
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