Non poteva che finire così, con qualche prevedibile contestazione dal sapore antico: l’assemblea dei Cinquestelle, quella della ricostituzione o della ripartenza, mette in scena un grande classico della casa, un vaffa in formato ridotto. Forse un antipasto di quel che potrebbe accadere oggi, se Beppe Grillo deciderà di affrontare la royal rumble pentastellata. Gli amici di sempre e chi gli è più vicino stanno facendo di tutto per dissuadere il comico: . (Secondo me va). L’odore della sfida però potrebbe vincere e convincere l’Elevato a scendere gli ultimi gradini di una scalinata che lo aveva visto salire col piglio di Rocky Balboa con tanto di folle al seguito. Di quel tempo restano i ricordi di una impresa comunque storica edificata con Gianroberto Casaleggio e Dario Fo, le percentuali mai più raggiunte e un contratto in scadenza fatto di tanti bei soldini. Già, perché anche quello, come la gloria, va ad esaurirsi: poco alla volta l’Elevato è diventato . Al suo posto c’è Conte che, per quanto ammaccato dai risultati elettorali, barcolla ma non molla. Nemmeno di fronte alle contestazioni, ai cori che lo invitavano alle “dimissioni” e ai fischi.
Se questo è il clima della vigilia non osiamo pensare cosa accadrà nella notte e nella giornata di oggi, dove la resa dei conti tirerà fuori il vero dna dei grillini, quel dna formatosi nei meetup dove la democrazia dal basso e la regola “uno vale uno” hanno partorito più disordine che ordine. Per quanto il battesimo del primo “congresso Cinquestelle” legittimi regole inedite e un nuovo corso, il “Nova” contiano non può spurgare del tutto gli istinti di una comunità educata più al distruggere più che al costruire. Quei contestori rappresentano il demone che non vuole sparire, sono il ventre che non accetta la rieducazione di quell’avvocato sempre ben vestito e con la pochette nel taschino, sono essi stessi la caverna che proietta le ombre del vangelo grillino.
Poca roba rispetto alla nuova pelle? Forse, ma se l’ex premier spera che tutti possano uniformarsi “in fila per tre” sbaglia. E se ne renderà conto quando quella comunità ribelle tornerà a coagularsi sotto le insegne di Beppe per strappare quella percentuale minima che sarà la spallata definitiva al M5S. Questo infatti è quel che cova sotto la cenere della contestazione: dimostrare di essere ancora vivi, di esserci ancora, di non essere diventati tutti come la Taverna o Fico.
Nei giorni scorsi ho avuto modo di parlare con alcune persone molto vicine a Grillo e me lo hanno detto: “Beppe non molla, Beppe non consentirà a Conte di vincere a colpi di norme e di codicilli. La faccia di Beppe vale ancora un 2-3 per cento”. Per questo oggi potrebbe esserci.
Personalmente non ne sono convinto: il fondatore del Movimento ha le sue pesantissime responsabilità nel disfacimento del partito: è stato lui a volere il governo con il Pd ed è stato lui a legittimare Draghi come “uno di noi”. Tant’è che il Governatore parlava direttamente con l’Elevato e non con l’ex premier divenuto presidente del partito. Oggi regolano i conti. O la va o la spacca. Tanto peggio di così c’è solo stare al traino di Fratoianni e di Bonelli.