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“Il metodo De Donno salva ancora vite: pubblico il diario che è una prova”. Il libro del collega-amico che riapre il caso

Pubblicato il 20/07/2022 12:10

Tutti ricordano Giuseppe De Donno, il medico eroe che ha salvato molte vite e che alla fine, per cause ancora oggetto di indagine, ha deciso di mettere fine alla sua. Il 5 maggio 2020, dopo una discussione a “Porta a porta” con il direttore dello Spallanzani, scomparve dal collegamento ma, il 14 maggio, la Commissione Sanità del Senato lo invitò a illustrare i suoi risultati. Roberto Burioni sollevò dubbi sul suo metodo e lui rispose, “da piccolo pneumologo di periferia”: “Vedo che si sta già arrovellando per trasformare una donazione democratica e gratuita in una ‘cosa’ sintetizzata da una casa farmaceutica”. Nell’autunno 2020, gli occhi del dottor De Donno avevano perso luce. Si tolse la vita il 27 luglio 2021, a 54 anni, impiccandosi nella sua abitazione. La Procura di Mantova aprì un fascicolo con ipotesi di “istigazione al suicidio”. De Donno durante il primo lockdown e nella fase più buia della pandemia, insieme al direttore del servizio di immunoematologia e medicina trasfusionale, Massimo Franchini, non badò alle direttive del ministero e curò i pazienti più gravi con trasfusioni di sangue iperimmune ricco di anticorpi proveniente da donatori guariti dal virus. E li ha salvati. (Continua a leggere dopo la foto)

Era stato proprio il dottor Franchini, dopo aver letto, il 29 febbraio, un articolo su Lancet Infectious Diseases nel quale s’ipotizzava il ricorso alla plasmaterapia per pazienti Covid, evocandone i positivi riscontri nella cura di altri virus come Ebola, Sars e Mers, a proporre a De Donno, primario di pneumologia, il ricorso a questo metodo, che sperimentò subito. Oggi, a distanza di qualche tempo, proprio Franchini, a tutt’oggi primario di immunoematologia a Mantova, il più stretto collaboratore di De Dormo, ha ricostruito la vicenda in un libro in uscita da Graus Edizioni, “Giallo plasma (130 pagine, 15 euro), i cui proventi delle vendite andranno a beneficio dei due figli di Giuseppe e Laura De Donno. Franchini racconta a La Verità la nascita di questo libro: “Durante la prima ondata dell’epidemia la direzione sanitaria mi chiese di annotare in un diario il succedersi degli avvenimenti. L’ho tenuto in un cassetto e non intendevo pubblicarlo. Poi l’ho fatto leggere a colleghi e amici che mi hanno consigliato di farlo, trasformandolo in un libro. Giuseppe è stato un eroe della lotta al Covid”. (Continua a leggere dopo la foto)

“I miei ricordi più forti – confessa Franchini – sono del periodo febbraio-luglio 2020, perché poi si allontanò. Sono stato conquistato dalla sua grande umanità, dalla sua totale dedizione ai pazienti. Per essere sempre vicino a loro, ha vissuto per oltre 3 mesi nel reparto, dormendo poche ore in una poltrona. Giuseppe De Donno ha sconvolto la mia vita professionale e umana facendomi riscoprire l’amore per il paziente e per la sua cura. Nella primavera del 2020 il sistema sanitario italiano si trovò disarmato nel contrasto al virus. Non c’era nessuna terapia disponibile e il plasma costituiva l’unico rimedio antivirale specifico. Dall’esperienza di Mantova con Pavia, l’utilizzo del plasma iperimmune è stato conosciuto in Italia e nel mondo parallelamente alla diffusione dell’epidemia. Ad oggi sono stati trattati oltre 400 pazienti, con una mortalità di circa il 12%, la metà di quella mediamente riportata a livello ospedaliero. Insomma, abbiamo salvato molte vite. I risultati sono stati pubblicati a marzo 2022 in un articolo su Life”. (Continua a leggere dopo la foto)

A chi sosteneva che l’utilizzo del plasma iperimmune non sortiva effetti nella riduzione della mortalità, De Donno rispose con i fatti. “Le letteratura sulla plasmaterapia è alquanto controversa. A Mantova abbiamo dimostrato che il plasma iperimmune con alto titolo di anticorpi neutralizzanti anti-Covid 19, se si somministra precocemente, entro 5 giorni dalla comparsa dei sintomi in pazienti ad alto rischio, è in grado di bloccare la progressione della malattia in un’alta percentuale di casi, evitando così l’intubazione e il ricovero in rianimazione con conseguenze spesso fatali. I pazienti ad alto rischio sono gli immunodepressi che spesso non sono in grado di produrre anticorpi al virus, nemmeno attraverso i vaccini. In Italia sono circa 500.000. Fino alla primavera del 2021, quando sono stati resi disponibili i farmaci monoclonali e i vaccini, la plasmaterapia è stata l’unico strumento per non lasciar morire i pazienti”. (Continua a leggere dopo la foto)

Nel suo libro Franchini ricorda infine15 storie di pazienti salvati dal dottor De Donno. “Sì, come quella di Domenico, 59 anni. Aveva una grave insufficienza respiratoria, e ricevuta la notizia del metodo De Donno dal suo medico di base, il paziente giunse a Mantova quasi morente. Giuseppe gli fece subito trasfondere due sacche di sangue iperimmune e dopo 10 giorni di lotta tra la vita e la morte, Domenico guarì. Un’altra vicenda incredibile. Luigi, 54 anni. Si ammala di Covid i1 21 marzo 2020. Viene ricoverato al Giovanni 23° di Bergamo con polmonite bilaterale interstiziale. Il 29 marzo ha un arresto cardiaco ed è in coma farmacologico. La moglie, disperata, scrive a Mattarella, che la fa chiamare dalla sua segreteria dicendo di interessarsi, e a noi a Mantova. Il 10 e l’11 aprile, al Poma, è sottoposto a due trasfusioni di plasma. Dopo 17 giorni di coma si risveglia, proprio nel giorno di Pasqua”. (Continua a leggere dopo la foto)

Quanto al suicidio, Franchini è netto, e a La Verità spiega: “La mia idea è che la sua iperesposizione mediatica e alcune critiche del mondo scientifico gli abbiano causato molta ansia. Diceva che le polemiche non lo toccavano ma mi accorgevo che poi ci rimaneva male. Lui voleva solo la verità e non abbassare mai la testa. Voleva solo salvare vite il più possibile. La sua pagina Facebook fu presa di mira da sciacalli. Mi stupiva la sua capacità di sopportazione, ma dall’autunno 2020, quando iniziò la seconda ondata, lo vedevo sempre più stanco e silenzioso. Andammo a pranzo qualche volta, nel 2021, e mi disse che voleva andare a fare il medico di medicina generale. Gli obiettai che l’ospedale aveva bisogno di lui. Mi manca moltissimo. Non so cosa darei per vederlo entrare ancora nel mio studio e andare a prendere un caffè insieme”.

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