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Meloni si arrende all’Europa. Patto di Stabilità, c’è l’accordo. Cosa prevede la nuova riforma: “Umiliati da Germania e Francia”

Pubblicato il 21/12/2023 08:36 - Aggiornato il 21/12/2023 09:18
Patto di stabilità Meloni

Alla fine si è arrivati all’accordo sulla riforma del Patto di stabilità, “grazie” al compromesso franco-tedesco, a cui l’Italia è dovuta sottostare. Un accordo, insomma, tutto a perdere. La Germania, capofila dei Frugali, voleva parametri comuni misurabili per la riduzione del debito pubblico e del deficit, la Francia, insieme all’Italia e agli altri Paesi del Sud ad alto debito pubblico, volevano preservare la capacità di investimento e di manovra per non compromettere la crescita futura. In più, la Germania, ma anche l’Olanda, ha insistito ottenendo l’aggiunta di due salvaguardie sul debito e sul deficit. In cambio, i Paesi indebitati portano a casa una flessibilità per gli anni 2025, 2026 e 2027 legata ai maggiori interessi sul debito e agli investimenti in green, digitale e difesa. Il problema per noi, però, è che la spesa pubblica è così congelata. E dopo i proclami iniziali, Meloni e Giorgetti, messi alle strette, si sono trovati a dover dire sì. (Continua a leggere dopo la foto)
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La premier Meloni ha parlato di “un compromesso di buonsenso”. Poi ha aggiunto: “Per l’Italia migliorativo rispetto alle condizioni del passato”. Di fatto la premier si è trovata nella morsa di Francia e Germania. Un accordo annunciato da Berlino e Parigi senza nemmeno consultare l’Italia, dandoci come scontati. Un’umiliazione per Meloni e Giorgetti. Che ora dovranno fare i conti con questo nuovo Patto: la spesa pubblica sarà congelata e i governi presenti e futuri non potranno far altro che tagliare servizi ai cittadini e aumentare le tasse. Il prossimo autunno, infatti, il governo dovrà andare a caccia di 15 miliardi se non vorrà ingranare la retromarcia. Dove li trova? O aumenta le tasse o taglia la spesa pubblica. Eccolo il conto del nuovo Patto. Però la racconteranno in un altro modo. (Continua a leggere dopo la foto)

Si parlerà dei percorsi di riduzione del deficit lunghi 4 anni, con possibile allungamento a 7. E della serie di clausole che consentono ai singoli paesi margini di flessibilità. Questi margini di flessibilità tengono conto delle riforme strutturali, degli investimenti e del Pnrr. La riforma, però, mantiene inalterati i parametri di Maastricht: il rapporto deficit/Pil non deve superare il 3% e il debito pubblico/Pil deve essere sotto al 60%. Scompare però la regola della riduzione di 1/20 l’anno, ma rimane la regola automatica del rientro annuo dello 0,5% del Pil. Ma per chi ha un debito superiore al 90% del Pil (come l’Italia) c’è l’obiettivo di portare il livello di disavanzo all’1,5% del prodotto. Per centrarlo, si dovrà ridurre la spesa dello 0,4% annuo in 4 anni oppure dello 0,25% in 7. Questa riforma, insomma, è un altro passo della svendita della nostra sovranità.

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