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Lo ammette anche il Corriere della Sera: il Recovery Fund è un pannicello caldo

Pubblicato il 30/09/2020 12:49

di Thomas Fazi.

Dopo mesi di propaganda a reti unificate sui “fantastilioni” generosamente messi a disposizione dall’Europa, e che a breve si materializzeranno nelle tasche di tutti gli italiani (oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente), comincia ad apparire qualche crepa nella narrazione di regime sul Recovery Fund. Per quanto uno possa essere bravo a mistificare la realtà, infatti, a volte i fatti cozzano a tal punto con la propaganda da risultare impermeabili alle solite operazioni di maquillage. 

Ne è un esempio l’articolo uscito sul Corriere della Sera a firma di Federico Fubini, in cui il giornalista ammette senza mezzi termini che il Recovery Fund, vendutoci dal governo e dai media come panacea di tutti i mali, rischia di rivelarsi un buco nell’acqua. 

Fubini sottolinea due punti essenziali (che noi andiamo dicendo da mesi): il primo è che la quota di prestiti del Recovery Fund (tecnicamente Next Generation EU) riservati all’Italia, per circa 127 miliardi – sempre che il piano veda effettivamente la luce del giorno, giacché deve essere approvato da tutti i parlamenti nazionali e la strada è lunga e tutta in salita – non serviranno a finanziare investimenti in più (rispetto a quelli già previsti dal 2019) ma solo a «sostituire con debito verso l’Unione europea il debito verso il mercato che lo Stato italiano avrebbe comunque contratto per finanziare vecchi progetti che esistevano già». 

Un’operazione, insomma, che non darà alcuno stimolo alla ripresa ma che serve solo – anche se Fubini non lo dice – a vincolare ulteriormente l’Italia alla UE attraverso la catena del debito. 

I fondi del Recovery Fund destinati agli investimenti aggiuntivi, nelle intenzioni del governo, dovranno invece essere finanziati quasi per intero attraverso la parte da 82 miliardi dei trasferimenti diretti dal bilancio europeo. «Solo quella infatti non andrebbe ad aumentare il debito, se utilizzata, proprio perché lo Stato non deve rimborsarla», sottolinea il giornalista. Peccato però – e questo è il secondo punto evidenziato da Fubini, il più dolente – che si tratti di una cifra del tutto insufficiente per arginare l’impatto della crisi determinata dalla pandemia. 

Scrive Fubini: «Dopo un crollo del fatturato di 156 miliardi nel 2020, l’anno prossimo dovrebbero affluire da Next Generation EU appena dieci miliardi per investimenti aggiuntivi, l’anno dopo altri quindici miliardi e il resto gradualmente fino al 2026. Sarebbe senz’altro un aiuto, ma non una svolta dopo una caduta dell’economia di quasi il 10 per cento». 

Una decina di miliardi (l’anno prossimo), a fronte di un crollo di più di 150 miliardi. A questo si riduce il “bazooka” dell’Europa. E per questa manciata di miliardi – che se fossimo ancora un paese economicamente sovrano non avremmo avuto nessun problema a mobilitare autonomamente facendo ricorso alla nostra banca centrale (ma che anche adesso potremmo “alzare” domani stesso sui mercati a tassi bassissimi) – abbiamo sacrificato quel poco di autonomia e di democrazia che ci erano rimaste, sottoscrivendo un accordo, quello sul Recovery Fund, che prevede il commissariamento de facto dell’Italia. Sempre Fubini, infatti, qualche mese fa spiegava che le condizionalità del Recovery Fund sono molto più stringenti di quelle del MES. 

Complimenti vivissimi a chi ha portato a casa questo capolavoro politico.