di Avv. Andrea Perillo e
Dr. Filippo Maria Daniele – Il fatto che il vaccino per il Covid-19 stia causando numerosi effetti (danni) collaterali è ormai un fenomeno appurato, oltre che dall’esperienza quotidiana, anche dalle più autorevoli riviste scientifiche e dagli appositi istituti di monitoraggio degli eventi avversi, sia nazionali (AIFA), che internazionali (EudraVigilance, Vaers). Gli articoli dei ricercatori scientifici, sul tema, sono sempre più frequenti e numerosi, e non è più possibile ignorare il problema, che certamente assumerà dimensioni ancora maggiori nel corso del tempo, e di cui ora stiamo vedendo, con ogni probabilità, solamente la punta dell’iceberg. Pertanto, la questione del risarcimento del danno derivante dalla somministrazione di un vaccino, e in questo caso specifico, di quello del Covid-19, assume un valore ancora maggiore, vista la potenziale platea dei danneggiati, e quindi dei potenziali richiedenti. Nel nostro ordinamento, la legge 210/1992, integrata successivamente dalla legge 25 luglio 1997, n. 238, regolamenta il riconoscimento di un indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati. (Continua dopo la foto)
A più riprese la Corte Costituzionale è intervenuta per spiegare che la ratio di questa norma risiede nel “dovere di solidarietà sociale che, riconoscendo la facoltà allo Stato di imporre a tutela del bene primario della salute pubblica trattamenti sanitari obbligatori, impone altresì alla collettività, e quindi sempre allo Stato, di predisporre in suo favore i mezzi di una protezione specifica consistente in una “equa indennità”, fermo restando, ove ne realizzino i presupposti, il diritto al risarcimento del danno” (così Corte Cost. n. 27/1998).
A seguito di alcune pronunce della stessa Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 118/20) è stato significativamente esteso il bacino dei potenziali beneficiari dell’indennizzo, fino a ricomprendere anche coloro che abbiano patito danni permanenti da campagne vaccinali “non obbligatorie”, ma anche soltanto “raccomandate” dalle autorità statali.
È stata quindi ribadita la stretta assimilazione tra vaccinazioni obbligatorie e vaccinazioni raccomandate, anche alla luce del fatto che nella pratica medico-sanitaria la distanza tra raccomandazione e obbligo è assai minore di quella che separa i due concetti nei rapporti giuridici. In ambito medico, “raccomandare” e “prescrivere” sono azioni percepite come egualmente doverose in vista di un determinato obiettivo, cioè la tutela della salute (anche) collettiva. Ne consegue – sempre secondo il ragionamento propugnato dalla Corte – che “in presenza di una effettiva campagna a favore di un determinato trattamento vaccinale, è naturale che si sviluppi negli individui un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie: e ciò di per sé rende la scelta individuale di aderire alla raccomandazione obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell’interesse collettivo, al di là delle particolari motivazioni che muovono i singoli” (Corte cost. 118/2020). (Continua dopo la foto)
Con la sentenza sopra citata, la Corte costituzionale è tornata ad affermare che il diritto ad un equo indennizzo in caso di danno irreversibile alla salute provocato dalla somministrazione di un vaccino non è condizionato dalla natura obbligatoria della misura di prevenzione sanitaria. La distinzione tra vaccinazioni rese obbligatorie per legge (ai sensi dell’art. 32, comma 2, Cost.) e quelle “meramente” raccomandate dalle autorità sanitarie non può giustificare una differenziazione nella risposta dell’ordinamento a favore di chi ne risulti, eventualmente, danneggiato: nell’una, come nell’altra ipotesi, il principio di solidarietà deve operare con la stessa forza, rinsaldando il legame indissolubile che sussiste, anche quando meno visibile e non tradotto in vincoli giuridici, tra “la dimensione collettiva e quella individuale della tutela della salute”.
Il “contemperamento” tra diritti individuali ed esigenze collettive nell’ambito di campagne vaccinali deve perciò essere ricondotto ad una logica di equiparazione delle ipotesi di vero e proprio obbligo di trattamento a quelle in cui vi sia la sottoposizione volontaria alle misure di profilassi incluse nel quadro di una attività pubblica di sensibilizzazione e promozione. Nel caso specifico del vaccino Covid-19, sebbene l’obbligo vaccinale non sia stato esteso a tutte le categorie, ma solamente ad alcune di esse, è evidente che l’introduzione delle misure restrittive, e in particolar modo del green pass, hanno inciso notevolmente sulla formazione della volontà dei singoli di sottoporsi alla vaccinazione, risultando, questa, una misura coercitiva, più che una “raccomandazione” o una “spinta gentile”, come alcuni hanno provato a definire.
Va da sé allora che il diritto all’indennizzo per il cittadino dovrà quindi correlarsi, non certo al fatto di essersi sottoposto ad un programma di vaccinazione obbligatoria, quanto piuttosto a quello di aver risposto al dovere di solidarietà che gli si impone per la tutela dell’interesse proprio e della collettività alla salute.
Avvalorando la giurisprudenza citata, l’articolo 20 del Decreto Sostegni ter (d.l. 4/2022) del 27.01.2022, intitolato “Disposizioni in materia di vaccini anti Sars-CoV2 e misure per assicurare la continuità delle prestazioni connesse alla diagnostica molecolare” ha disposto la modifica della legge n. 210/1992, attraverso l’introduzione, dopo il comma 1 dell’articolo 1 del comma seguente: “1-bis. L’indennizzo di cui al comma 1 spetta, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge, anche a coloro che abbiano riportato lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, a causa della vaccinazione anti Sars-CoV2 raccomandata dall’autorità sanitaria italiana. Al relativo onere, valutato in 50 milioni di euro per l’anno 2022 e in 100 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2023, si provvede ai sensi dell’articolo 32. Le risorse sono stanziate in apposito fondo nel bilancio del Ministero della salute che provvede ai pagamenti di propria competenza, nonché al trasferimento alle regioni e alle province autonome delle risorse nel limite del fabbisogno derivante dagli indennizzi da corrispondersi da parte di queste, come comunicati annualmente dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome entro il 31 gennaio. Con uno o più decreti del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono stabilite le modalità di monitoraggio annuale delle richieste di accesso agli indennizzi e dei relativi esiti, nonché, sulla base delle richiamate comunicazioni della Conferenza delle regioni e delle province autonome, l’entità e le modalità di trasferimento del finanziamento spettante alle Regioni”.
Secondo le disposizioni previste dalla legge del 1992 sopra citata, la domanda di indennizzo va presentata all’Azienda Sanitaria di residenza, la quale ha il compito di svolgere l’istruttoria. I soggetti (ai quali è già stato riconosciuto il diritto all’indennizzo), che hanno contratto più di una malattia direttamente connessa alla trasfusione o vaccinazione o somministrazione di emoderivati infetti, possono presentare apposita domanda alla Azienda Sanitaria per ottenere un indennizzo aggiuntivo (c.d. doppia patologia). L’indennizzo è pari al 50% di quello previsto per la categoria corrispondente alla patologia più grave (art. 1 comma 7, Legge 238/97).
I soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, oltre alla domanda per l’ottenimento dell’indennizzo previsto dall’art. 1 della Legge 210/92, possono presentare domanda, con le stesse modalità, per ottenere un assegno una tantum, pari al 30% dell’indennizzo dovuto per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell’evento dannoso e l’ottenimento dell’indennizzo stesso (Legge 238/97 art. 1 comma 2). È chiaro come i fondi stanziati per il risarcimento del danno derivante dalla somministrazione del vaccino contro il Covid-19 potrebbero presto risultare insufficienti, e pertanto sarebbe opportuno incrementare le risorse destinate a tale scopo, ma anche potenziare, per ragioni di trasparenza e per evitare possibili conflitti di interessi, anche le strutture di farmaco-vigilanza attiva, per intercettare il maggior numero di soggetti che sono stati danneggiati dal farmaco.
Altra questione è quella relativa al “risarcimento del danno”. Infatti, la differenza tra il risarcimento e l’indennizzo, è che mentre il risarcimento è dovuto per un atto illecito che ha causato un ingiusto danno, l’indennità è dovuta per aver esercitato legittimamente un diritto che, però, ha comportato una compressione o lesione del diritto altrui. In sintesi: se il risarcimento è sempre la conseguenza di un illecito, l’indennità va pagata anche se l’atto compiuto è autorizzato dalla legge. L’indennità serve quindi a riequilibrare le posizioni tra chi ha esercitato un diritto e chi, a causa di ciò, ha subito un danno. Per tali ragioni, oltre ad un incremento dei fondi destinati agli “indennizzi”, si auspica anche la costituzione di un fondo destinato ai “risarcimenti”, ossia in favore di tutti quei soggetti che, alla luce delle evidenze scientifiche, non avrebbero dovuto sottoporsi alla vaccinazione, sia perché esposti a rischi per la loro salute di cui le stesse case farmaceutiche erano a conoscenza, sia perché il loro consenso non è stato “libero e informato”, e che pertanto hanno subito un’ingiustizia.
Avv. Andrea Perillo
Dr. Filippo Maria Daniele