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La tragica morte di Andrea, ucciso da un orso

Pubblicato il 14/04/2023 17:26 - Aggiornato il 14/04/2023 17:27

La tragica uccisione di una persona della Val di Sole avvenuta per causa di un orso ha dato luogo a due reazioni opposte. Vi è chi ritiene che l’episodio dimostri che è necessario limitare il numero dei grandi carnivori e chi, per contro, sostiene che è opportuno limitare la presenza dell’uomo in determinate aree della montagna alpina.

Tali posizioni rappresentano la conseguenza di letture diverse diuna tematica di ordine generale che si può riassumere nella risposta alle domande: di chi sono le Alpi? In funzione di quali interessi devono essere gestite?

Sono perfettamente consapevole che vi sarà chi a queste domande risponderà: devono essere gestite in funzione degli interessi dell’intera umanità e delle generazioni future. Questa risposta è vera, ma parziale. Infatti, le problematiche che nella gestione delle Alpi riguardano l’intera umanità concernono solo pochi grandi temi e il futuro delle prossime generazioni dipende in primo luogo dallo sviluppo sostenibile attuale. Sviluppo sostenibile che, a differenza di quanto alcuni pensano, non è definibile in maniera neutra qualsiasi siano gli interessi in gioco, ma dipende dagli obiettivi che ci si pone.

In proposito si deve osservare che le Alpi rappresentano un insieme di risorse naturali quali fauna, flora, acqua, spazi aperti ed altre. Risorse che diventano via via più importanti, mano a mano che crescono le esigenze della popolazione che vive nelle grandi pianure urbanizzate che le circondano. Popolazione che tende a considerare le Alpi medesime uno spazio vuoto al proprio servizio sia come area ricreativa sia come riserva di quella Natura che nelle aree urbane viene sempre più rimpianta. Contemporaneamente l’identità alpina si è in molti casi indebolita e non ha la forza di sostenere apertamente visioni del mondo alternative.

In conseguenza, in diversi casi, viene dato per scontato che le risorse naturali alpine debbano essere gestite in funzione di presunti interessi generali che, in realtà, esaminati da vicino coincidono con quelli delle popolazioni urbanizzate. Al tempo stesso obiettivi ed esigenze delle popolazioni locali vengono considerate poco importanti quando non un semplice residuo del passato che nulla ha da dire per il futuro. Se così è allora la gestione dell’acqua deve essere in funzione delle aree di pianura, la gestione della flora e della fauna deve mettere al primo posto le richieste di chi desidera salvaguardare qualche elemento attrattivo dal punto di vista dell’immaginario collettivo e via di questo passo.

Questo senza considerare che la gestione dell’ambiente per essere sostenibile non può essere fatta né riproducendo a livello territoriale il modello urbano degli spazi specializzati (residenziale, parco, produttivo), né subordinando gli interessi locali ad interessi di altre aree. L’ecosistema basa la propria resilienza non sulla specializzazione bensì sulla multifunzionalità. L’esatto opposto del modello urbano.

A ben guardare il punto di vista di chi pensa di salvaguardare mummificando l’esistente parte da una visione distorta della realtà. Sulle Alpi a differenza di quanto molti pensano, la Natura originaria non esiste più. Ciò che vediamo rappresenta l’applicazione agli elementi naturali originari dell’attività umana. La stessa composizione floristica dei pascoli alpini sarebbe molto diversa da quella che è se non ci fosse stato il pascolo. Siamo portati a considerare le Alpi il regno della Natura semplicemente perché altrove quest’ultima è stata modificata in maniera più violenta e meno sostenibile. Tale risultato positivo è conseguenza di numerosi fattori, tuttavia, non vi è dubbio che una delle ragioni per cui possiamo considerare oggi le Alpi una regione ricca di risorse naturali va ricercata nella modalità con cui le popolazioni alpine hanno gestito il territorio. Modalità che faceva propri dei principi che oggi sono alla base del cosiddetto sviluppo sostenibile vale a dire di un modello di sviluppo in grado di durare nel tempo. Le limitazioni degli interessi immediati al fine di salvaguardare quelli futuri che, per strade diverse, maso chiuso ed usi civici rappresentano, ne sono un esempio.

In altri termini nelle Alpi grazie anche alla possibilità di decidere autonomamente in funzione delle specificità ambientali e delle esigenze delle comunità locali, si è riusciti a conservare attraverso la gestione. Risultato che non può essere raggiunto né attraverso norme calate dall’alto, né con la subordinazione degli interessi locali ad interessi di altre aree. I boschi dell’Appenino sono stati per secoli oggetto di leggi, norme, decreti calati dall’alto con il risultato di essere in condizioni molto peggiori di quelli alpinigestiti con poche regole, ma con la partecipazione diretta delle comunità locali. 

Per questo la gestione delle risorse naturali alpine deve essere in primo luogo orientata a soddisfare le esigenze delle popolazioni locali. Esigenze che comprendono anche quella di poter utilizzare, sia pure in maniera non distruttiva, il territorio della montagna. Una montagna ben curata è anche nell’interesse delle popolazioni di pianura. Una montagna ben curata può vedere la presenza dei grandi carnivori, ma in numero tale da non mettere in discussionela qualità della vita e la sopravvivenza anche economica delle comunità locali. Una montagna ben curata richiede che vengano riconosciuti i limiti entro cui si può operare: limiti nello sfruttamento, ma anche limiti all’avanzare del selvaggio.

In definitiva una montagna ben curata richiede la possibilità che vi siano comunità locali che attuano gestioni attive, autonome, consapevoli dell’importanza di ciò che hanno in prestito dalle generazioni future.

Professor Geremia Gios, ordinario di Economia Agraria e dell’Ambiente Dip. Economia Università di Trento.

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