Come piace la Francia ai nostri commentatori, inviati, giornalisti con la erre moscia. Sono giorni che leggiamo lenzuolate di analisi su cosa sta accadendo Oltralpe e sulle sue presunte angosce (memorabile quella di Repubblica che parlava di un boom di sedute di psicanalisi per paura della Le Pen). La Francia piace, insomma; del resto abbiamo un italiano che è un europarlamentare in quota Macron (Sandro Gozi) e un bel po’ di sinistrorsi con la casa a Parigi o con i galloni della Legion.
Piace a loro e ce la raccontano nella salsa loro; finché ci sono editori gonzi che pagano per tenerli come corrispondenti o inviati non ce ne libereremo. Per capire però la Francia oltre i pistolotti dei galletti italiani in trasferta, si può stare tranquillamente in Italia ed evitare di leggere Corriere, Repubblica, Stampa…: sono anni che scrivono la stessa cosa sull’urgenza delle grandi ammucchiate democratiche contro i fascisti. Nel ‘92 uscì un film – La Crisi – validissimo ancor oggi: uno spaccato sociale dove chi vive nelle periferie vota a destra perché ne ha le scatole piene di immigrati e sperequazioni sociali mentre la sinistra al caviale si bea nel centro, nei suoi salotti e nei suoi ritrovi. Chi ha i soldi o fa i soldi diventa subito democratico e antirazzista; chi invece non li ha se ne frega delle etichette, in primis quella di razzista, perché nei miasmi e nella giungla delle banlieu c’è ben altro per cui preoccuparsi.
L’altro giorno Federico Rampini ci raccontava degli errori della sinistra sull’immigrazione. Non è nuovo a questa analisi e gliene va dato atto, ma non basta. Non basta dire che la sinistra non capì la ricaduta di queste aperture troppo generose delle frontiere, va aggiunto che avevamo ragione noi quando mettevamo in guardia sulla pericolosità di quelle politiche: l’integrazione non è una cena di gala. Avevamo ragione noi perché, a differenza dei compagni, ascoltavamo il disagio delle persone e guardavamo cosa stava accadendo nelle città; non sottovalutavamo ciò che si diceva negli avamposti Fiom in terra lombarda dove oltre alla tessera del sindacato gli operai avevano la tessera della Lega; e infine studiavamo quei rapporti che Marzio Barbagli, sociologo del Mulino, metteva nero su bianco su criminalità e immigrazione.
Per il solo fatto che leggevamo questa società in movimento la sinistra e le sue penne ci davano del razzista, dell’intollerante, del fascista. È ancora così, ecco perché la sinistra non ha capito nulla e continua a non capire nulla. Tant’è che nella sua mentalità malata, che resta comunista in radice (e invito a chiamarli con il loro nome), chiama all’adunata partigiana contro l’Onda nera replicando il solito schema: li mettono tutti assieme per poi assumere o tentare di farlo l’egemonia. In Francia sta accadendo la stessa cosa: tutti contro Le Pen/Bardella e quando dico tutti intendo proprio tutti a prescindere dalle rispettive posizioni politiche. La chiamano lotta di democrazia ma è una ammucchiata, un’orgia di potere (che poi è l’unica cosa che interessa ai compagni: conservare il potere). Accade da decenni in Francia ma l’unica cosa che resta è l’inquietudine dei cittadini, una inquietudine che si allarga e diventa sempre più densa, più cupa.
La sinistra – lo dico a Rampini che almeno ha capito – può pensare di fare ammucchiate contro natura (del resto per loro non è poi così straordinario…) per fermare la destra, ma non fermerà ciò che quel pezzo di società chiede e che la destra ha capito e raccolto nella sua proposta. In Francia come in Italia, la destra è una offerta politica pronta a governare.