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“C’è una me prima del vaccino e una me dopo”. La drammatica storia di Isabella: il suo racconto

Pubblicato il 30/05/2022 08:58

Isabella ha 39 anni e fa parte di quella schiera di invisibili che ora vivono l’inferno. Nel corpo e nell’anima. A causa del vaccino. Isabella ha scritto una lettera potentissima, pubblicata sul portale Sfero, per raccontare la sua drammatica esperienza: “Mentre ripercorro la mia storia mi sale la rabbia. Rabbia per una vita che è stata stravolta. Anzi, strappata. Rabbia per un silenzio che assorda, per un mondo che chiude i suoi occhi alla sofferenza di chi – casi RARI, si dice – si è trovato in un incubo che pare senza fine. Ero sana, estremamente attiva, al culmine della forma fisica. Facevo allenamenti intensi su base quotidiana, e danza classica. La danza è un sogno che avevo da bambina ma che, allora, non ho potuto realizzare. Ho cominciato da adulta e, con impegno e dedizione, ho imparato a danzare sulle punte. Continuo a sognare la danza… di notte… poi mi rendo conto che le gambe quasi non mi reggono, sono come dilaniate da una lama che affonda nella carne, il mio equilibrio non è stabile e ‘camminare’ è una lotta che fatico a vincere. Non riconosco più il mio corpo. C’è una me prima del vaccino e una me dopo: due diverse persone”. (Continua a leggere dopo la foto)

Scrive Isabella: “Il mio inferno è iniziato ad agosto in Sudafrica, paese nel quale ho lavorato come ricercatrice accademica negli ultimi quattro anni e mezzo. Dovendo viaggiare sottrarmi al vaccino non era un’opzione. A parte gli effetti previsti nei giorni immediatamente successivi all’inoculo, il mio primo gruppo di sintomi si è sviluppato a tre settimane dalla prima dose (Pfizer). La sera del 20 di agosto è stato come se il mio cranio fosse esploso. Una cefalea insolita, nulla di simile alle emicranie (già intense) sofferte in passato: trafittivo, persistente, resistente ai farmaci, quel mal di testa, da allora, non si è mai interrotto. Non un solo istante. Insieme ad esso, nebbia cerebrale, astenia invalidante e intolleranza all’esercizio. Questo quadro è diventato più severo dopo la seconda dose (Pfizer). È allora che ho iniziato a sospettare una correlazione. Troppo tardi. Pensavo che quello fosse abbastanza, ma in realtà… era l’inizio. L’inizio di una sintomatologia, debilitante e multisistemica, che ha trasformato un individuo sano in un malato cronico. I miei sintomi includono: parametri fortemente instabili, tra cui tachicardia (ho episodi in cui il battito supera i 200); pressione irregolare (a volte alta, a volte estremamente bassa, tanto che mi è capitato di perdere coscienza); capogiri e intolleranza ortostatica; difficoltà di concentrazione, inceppamento della parola e blackout della memoria a breve termine; secchezza di occhi, fauci e pelle; acufeni; dispnea. Questa fame d’aria si accompagna a costrizione toracica, come se un bustino mi opprimesse dal diaframma alla gola senza allentarsi. Talora l’aria non passa e la saturazione scende. Devo quindi stabilizzarla con l’ossigeno. Il pneumologo ha imputato questa situazione a una (insorta) debolezza dei muscoli toracici. La spirometria ha rivelato un marcato deficit restrittivo dei volumi polmonari”. (Continua a leggere dopo la foto)

Continua Isabella: “L’aspetto maggiormente invalidante riguarda gli arti e soprattutto le gambe. Facendo danza classica, le gambe erano la parte più forte di me. Ora sono la più debole. Ho sviluppato disturbi della sensibilità con parestesie distali, formicolii, bruciori, scosse elettriche, ghiaccio… Inoltre, allodinia, crampi, rigidità. Intorpidimento. Attacchi di tremori. Consistente perdita di massa muscolare. Profonda debolezza. E dolore… un dolore lancinante che “brucia”, letteralmente, i miei giorni e le mie notti. Ho severe difficoltà deambulatorie. Sono passata dal danzare sulle punte, a “camminare” con un deambulatore, a utilizzare, per gli spostamenti esterni, una sedia a rotelle. Continuare a vivere da sola, dall’altra parte del mondo, era diventato impossibile. Ho amato quel capitolo della mia vita, ma l’ho dovuto chiudere. Tropo bruscamente. D’altronde, in Sudafrica, per avere accesso a una prima visita specialistica avrei dovuto attendere dei mesi. Il medico mi disse: “intanto non muori. Se non vuoi aspettare, te ne torni in Italia”. E così ho fatto. Ho affrontato un trasloco internazionale in condizioni fisiche tutt’altro che ideali”. (Continua a leggere dopo la foto)

Spiega Isabella: “Il volo è stato ostico ma reso possibile dall’assistenza in sedia a rotelle e ossigeno a bordo. Sono rimpatriata nella speranza di trovare risposte. Non ho ancora una diagnosi certa, né una prognosi. Le (tante) terapie tentate finora sono state inefficaci. Sembra che la sintomatologia sia riconducibile a una sindrome polineuropatica con caratteristiche di NPF (neuropatia delle piccole fibre), associata a una significativa componente di disautonomia (forse POTS) e miopatia di possibile inquadramento neuromuscolare. Ho trovato alcuni medici – il mio medico di base italiano e pochi specialisti – davvero umani e inclini a tentare di comprendere questo proteiforme puzzle di sintomi. D’altro lato, vi è l’“ars NON medica”, di cui Ippocrate non andrebbe fiero: quelle tante porte chiuse al solo menzionare ciò che è “innominabile”, e quel trito corollario di risposte: “è ansia/depressione/si sta inventando i sintomi” o anche “chi sostiene di avere reazioni al vaccino è un malato mentale”. Malati immaginari, non organici: al danno si aggiunge la beffa. Eppure… ormai non provo ansia e nemmeno depressione, a dire il vero. Solo rabbia. E la rabbia è anche ciò che mi motiva a andare avanti, a continuare a cercare, a non deporre le armi, a ostinarmi a combattere”. (Continua a leggere dopo la foto)

Attacca Isabella: “Il testo classico del giuramento ippocratico riporta: ‘Sceglierò il regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministrerò a nessuno, neppure se richiesto, alcun farmaco mortale’. Dov’è il principio “primum non nocēre” (per prima cosa non nuocere)? Noi NON siamo numeri, né cavie da laboratorio: siamo esseri umani e, come tali, andremmo ascoltati. Che cosa è stato fatto ai nostri corpi? Perché nascondere le nostre sofferenze? Perché questo deserto di silenzio?”. (Continua a leggere dopo la foto)

Conclude Isabella: “Noi esistiamo. Le nostre voci sono prove tangibili di quanto i sieri genici non siano sicuri. Noi siamo la testimonianza di ossa e sangue che c’è correlazione. Negare la correlazione, è ammettere la colpa. Noi incarniamo quella colpa. E non è nostra. Resta una speranza nella Scienza (quella vera, non di parte, non politica o ideologica), nella ricerca intellettualmente onesta, nel fatto che si studino i danni che viviamo per evitare che si ripeta questo inferno”.

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