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“Spettava al Ministro”. E ora per Speranza potrebbero davvero essere dolori (e peggio ancora)

Pubblicato il 05/03/2023 12:49 - Aggiornato il 05/03/2023 12:50

Se, dagli atti della Procura di Bergamo, emerge un preoccupante pressapochismo nella gestione della prima e più grave ondata del Covid, e segnatamente nella mancata chiusura della Zona Rossa nel bergamasco, l’altro filone dell’inchiesta, quello sul mancato aggiornamento del piano pandemico (fermo al 2006), inchioda l’allora ministro della Salute, Roberto Speranza. L’Italia avrebbe dovuto presentare ex novo, già nel 2014, il nuovo piano, secondo la decisione del 22 ottobre 2013 del Parlamento europeo, e le successive varianti sarebbero dovute essere comunicate con cadenza triennale: nel 2017 e nel 2020. Si evince dalla lettura degli atti dell’inchiesta. “Credo che siano tutti nei casini”, dal 2013. E “alla grande”. Scrive così, in un messaggio agli atti rivolto alla sua vice, Tiziana Coccoluto, rivelato da La Verità di oggi, Goffredo Zaccardi. Eravamo ancora nel 2020. Zaccardi stesso, capo di gabinetto del ministro Speranza, in una chat invece pubblicata da la Repubblica, lamenta: “una buona prevenzione e un rafforzamento della strutture avrebbero evitato un disastro di cui non capiscono la portata”. Se si fosse messo in campo il piano pandemico, quantunque non aggiornato, probabilmente non avremmo pianto tanti morti (tralasciando per un attimo gli assurdi protocolli sanitari stilati dal ministero). Scrivono i magistrati di Bergamo che, alla data del 5 gennaio 2020, ricevuto l’alert dell’Oms su una polmonite virulenta che si stava sviluppando in Cina, il piano sarebbe dovuto entrare in azione. Anche perché, ricordano giustamente gli inquirenti, si tratta di “una legge dello Stato”, disattesa dallo Stato stesso. I pm si sono concentrati sulla figura di Claudio D’Amario, responsabile della direzione generale della prevenzione del ministero della Salute, “per le sue continue assenze”. Eppure era lui che doveva attuare il Piano. (Continua a leggere dopo la foto)
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Decade, pertanto, le tesi portata avanti da Roberto Speranza, per cui il piano del 2006 fosse inutile, perché “non pensato per il Covid”. In realtà, come scrivono i magistrati di Bergamo, al 5 gennaio non si conosceva l’eziologia dell’agente patogeno e non si poteva parlare, dunque, di coronavirus. Inoltre, se Speranza, ascoltato in Procura, scarica ogni responsabilità circa l’aggiornamento del piano sui tecnici del ministero, la responsabilità “politica”, e non tecnica, è ribadita nelle carte dell’inchiesta. Predecessore di Roberto Speranza al dicastero della Salute, l’ex ministro Giulia Grillo, aveva invero avviato i lavori per l’aggiornamento del piano, che alla fine del 2019 sarebbe già stato abbozzato, per poi arenarsi negli uffici del gabinetto di Roberto Speranza. Dalle carte della procura si evincono anche altri particolari. Ad esempio, ancora il suo capo di gabinetto, Goffredo Zaccardi, avrebbe fatto pressioni su Giovanni Rezza, direttore generale del dipartimento Prevenzione del ministero della Salute, affinché questi affermasse che il piano pandemico del 2006 fosse utilizzabile “solo per l’influenza e non per la Sars Cov-2”. (Continua a leggere dopo la foto)

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I più ricorderanno che Robert Lingard, giovane italiano emigrato a Londra, aveva ripescato dalla rete il dossier dell’OMS sul mancato aggiornamento, e che il rapporto An unprecedented challenge: Italy’s first response to Covid-19, elaborato dai ricercatori di Venezia guidati da Francesco Zambon, fu ritirato a poche ore dalla pubblicazione. Da qui il secondo, forse più importante, filone dell’inchiesta della Procura di Bergamo.

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