di Stefano Aldovisi – Il primo gennaio 2002 l’euro entrava in circolazione in un numero di 11 paesi dell’Unione Europea, Italia inclusa, numero che oggi è arrivato a 20.
Secondo un’indagine ISTAT, l’indice nazionale dei prezzi al consumo in Italia ha registrato a gennaio 2022, rispetto alla media del 2001, una crescita del 40,4%.
In breve, dopo 20 anni dall’introduzione dell’euro in Italia, 100 lire possedute nel 2001 valgono 60 come potere d’acquisto.
L’ISTAT fornisce anche una stima preliminare dell’indice nel mese di gennaio 2023, che registra un aumento addirittura del 10,1% su base annua.
Le ragioni della crescita esponenziale dei prezzi nel 2022 è nota ed è legata principalmente al rincaro del costo delle materie energetiche, gas ed energia elettrica in primis ma anche il petrolio.
Che per le tasche dei risparmiatori il caro bollette sia una versione 2.0 dell’Euro, legata anche a fattori bellici? (Continua dopo la foto)
Peraltro il caro bollette luce e gas e il caro carburanti hanno cause anteriori alla guerra in Ucraina. Il prezzo del petrolio al barile è passato da 81$ del 1°gennaio 2022 a 115$ del 1° maggio 2022. Però il 1° marzo 2020 il petrolio quotava addirittura 26,71$ e il prezzo della benzina è passato da 1,34 euro del 2 giugno 2020 a 2,18 euro del 17 marzo 2022.
Il prezzo del gas è poi legato a quello spot fissato sul mercato di Amsterdam, il cosiddetto TFE e qui i numeri sono sbalorditivi. Dal 2012 al 2020 il prezzo spot è rimasto sostanzialmente stabile intorno ai 20 euro per megawattora. Dal gennaio 2021 all’agosto 2022 il range è stato di 250 – 340 euro, un incremento medio del 1500%.
Come ha evidenziato a suo tempo l’economista Mario Baldassari, di fatto però gli operatori che forniscono gas a uso privato o industriale, acquistano gas con contratti a medio-lungo termine e non sul mercato di Amsterdam. Il prezzo del gas effettivamente importato in Italia è così aumentato dal 2021 al 2022 del solo 50% mentre le bollette del gas sono aumentate del 200 – 300%.
I conti per Baldassarri non quadrano nemmeno sul fronte dell’energia elettrica, che è prodotta in Italia con il gas per il 40%. Tenuto conto che le altre fonti di produzione di energia non hanno subito incrementi così sensibili, resta da chiarire un aumento delle bollette della luce che dal 2021 al 2022 sono cresciute del 200 – 300%. 40% per 50% fa però 20%. Come si spiega la differenza?
Sembrerebbe dunque che un’ondata speculativa, senza controllo, si sia riversata nell’economia degli approvvigionamenti energetici con effetti che, com’è ovvio, hanno toccato in particolare le singole famiglie. E la speculazione non sembra proprio voler mollare la presa.
È notizia di questi giorni che sarà aperto a Londra un mercato del gas parallelo a quello di Amsterdam, come reazione al limite (price cap) di euro 180 per megawattora che l’Unione europea, dopo una faticosa e lunga trattativa tra i Paesi partners, ha fissato a protezione delle imprese e delle famiglie contro i rincari eccessivi del prezzo del gas. (Continua dopo la foto)
Il mercato di Londra sarà indipendente dal “cap” dell’Unione e permetterà ai traders di operare in autonomia rispetto a tale misura di contenimento.
Al di là dei sofisticati meccanismi di politica monetaria e di regolazione dei mercati, un dato di fatto è certo: il risparmio è la vittima sacrificale degli ultimi 20 anni.
Che si tratti del cambio euro / lira o del caro bollette, i risparmiatori sono sempre più poveri in termini di potere d’acquisto. La vantata efficacia dell’euro nel mantenimento del suo valore reale, dati storici alla mano, sembra quanto meno opinabile. La crescita esponenziale delle bollette una dimostrazione evidente dei limiti della politica economica comunitaria, le cui reazioni al caro prezzi si sono dimostrate tardive e inadeguate.
A guadagnarci sono state sicuramente le Banche centrali e in particolare lo Stato italiano che con i suoi 2,48 trilioni di dollari di debito e un rapporto di 133 tra debito e PIL, è il quarto Paese del mondo in materia d’indebitamento. Come per un colpo di bacchetta magica, nell’arco di vent’anni, l’Italia ha però beneficiato di un dimezzamento del suo debito pubblico in valore reale. È la conseguenza della politica d’introduzione dell’euro e della recente fiammata dei prezzi? La domanda è certamente complessa e richiede risposte altrettanto complesse. Il tema offre però uno spunto oggettivo. Questo “beneficio” pubblico è facilmente misurabile in termini non solo di perdita del valore del capitale a debito ma anche del servizio di questo debito. A fronte di un inflazione del 10% i BTP (tranne quelli indicizzati) pagano oggi in media il 3 – 4%, un interesse quindi negativo.
Certo, dirà qualcuno, sempre meglio dello 0% d’interesse (spese di tenuta conto escluse) che oggi le banche danno ai nostri risparmi lasciati in deposito. Ma di ben magra consolazione si tratta.