Il faticoso bis raggiunto da Ursula Von Der Leyen coincide con il crollo della golden share franco-tedesca e con un sostanziale cedimento strutturale dell’Unione europea. La presidente riesce a strappare la riconferma con un voto di stretta misura (record storico negativo) e soprattutto con una alchimia che alla lunga potrebbe non giovarle.
Il sostegno del fronte sovranista, cioé della cosiddetta destra, è agli atti ed è talmente determinante che tanto a sinistra quanto al centro la signora perde pezzi. Come reggerà l’impatto? Il problema del pallottoliere è di scarso impatto perché il parlamento europeo ora esce di scena nel senso che ha vissuto il suo momento di maggior gloria e si adeguerà da camaleonte al tirare a campare che anche qui a Bruxelles è preferibile al tirare le cuoia.
La questione invece è ben altra e riguarda la sconfitta pesante dei due leader che si consideravano i campioni della Ue, ossia Emmanuel Macron e Olaf Scholz, il cui peso in questo giro è stato pari allo stato di salute che hanno in patria. La partita si sposta nel Consiglio europeo ed è qui che i due si troveranno fuorigioco. Macron non riesce a uscire dal labirinto che egli stesso aveva costruito alle scorse politiche, tanto che la manovra di bilancio “dipende” dai voti della Le Pen. Contro Scholz gioca il collasso economico: dopo il settore dell’automotive, ora è la siderurgia (vero pistone dell’industria germanica) ad annunciare esuberi e licenziamenti.
Insomma il magro bottino di consenso della Von Der Leyen rispecchia lo stato di salute dell’Unione stessa, per nulla strutturata alle sfide che la situazione sta ponendo. Il baraccone tecnocratico di Bruxelles rischia di soffocare tra l’America trumpiana e un cartello Brics che si muove sulle rotte mediorientali, africane, sudamericane e asiatiche. Che potere negoziale ha una Europa senza galloni?
Continueremo a illuderci che gli occhi siano puntati sul salotto europeo, che il mercato interno si converta in posizionamento politico, ma così non è (a maggior ragione se dovremo far fronte ai pesanti dazi americani).
L’Unione europea ha imboccato la via del lento declino. Lo ha ammesso anche l’ex governatore della Bce Mario Draghi, che ha bucato la retorica del salvadanaio europeo del Pnrr e dei prestiti simili: nulla di tutto questo rilancerà l’eurozona. Sarà più facile che il corto circuito arrivi dalla Germania (se la destra di Afd – che parla apertamente di uscita dall’euro, Dexit – prenderà percentuali importanti e decisive), piuttosto che si concretizzi il doppio piano Marshall evocato da SuperMario. Lo spostamento a destra della stramba maggioranza, politicamente significa questo: basta forzature contro gli Stati nazionali. Ora tocca al governo italiano non cedere alle sirene di Bruxelles.