La verità continua evidentemente a far paura, nel nostro Paese. Come dimostrato dalla fittissima pioggia subito precipitata sulla commissione di inchiesta Covid, appena nata eppure già finita nel mirino tanto di una parte del mondo della scienza, quanto di una bella fetta del centrosinistra. Con attacchi continui, feroci, volti a delegittimare l’ente prima ancora che possa iniziare a lavorare. Dopo le reazioni inferocite dell’ex ministro della Salute Roberto Speranza, che ha parlato del rischio di una “clava politica”, è arrivato anche l’attacco di Aldo Grasso dalle pagine del Corriere della Sera: “Questa ennesima e inutile commissione nasce non tanto per scoprire la verità quanto per colpire l’opposizione, tant’è vero che le responsabilità delle Regioni sono state tenute fuori nonostante i loro compiti primari nella gestione della sanità”. (Continua a leggere dopo la foto)
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Un’argomentazione, questa, alla quale molti critici si sono aggrappati in queste ore. E che, però, regge fino a un certo punto. Come spiegato da Stefano Borgonovo sulle pagine della Verità, infatti, fin da subito è stato il governo ad accentrare la stragrande maggioranza delle decisioni, con il Cts (imbeccato da Speranza) a indicare la linea da seguire. Assumendosi, dunque, anche le responsabilità delle scelte. (Continua a leggere dopo la foto)
Per Grasso, “rimettere in discussione una situazione di spaventosa emergenza, insinuare che qualcuno abbia agito in malafede, significa dare ragione ai no vax, no mask, no Green pass, no qualsiasi cosa”. L’Ema, dunque, non dovrebbe a suo dire mai essere messa in discussione. Così come l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, nella bufera dopo i servizi di Fuori dal Coro che hanno mostrato come alcuni dati siano stati “nascosti” per non creare allarme e scetticismo intorno ai vaccini. (Continua a leggere dopo la foto)
Non si capisce, insomma, perché dovrebbe essere bollata come “populismo” la ricerca di verità sul piano pandemico mai applicato, sugli effetti collaterali tenuti ben lontani dai riflettori, sui contratti stipulati dall’Ue con le case farmaceutiche. In un Paese normale, sarebbe nell’interesse di tutti capire come siano andate davvero le cose ed, eventualmente, chiamare a rispondere i responsabili dei proprio errori. In Italia, evidentemente, non è così.