Resta fitta la nebbia intorno all’ex Ilva di Taranto, ancora in attesa di un accordo definitivo tra lo Stato e ArcelorMittal che dovrebbe arrivare entro la fine di novembre e che, però, al momento non c’è. Si continua a discutere, come ormai da mesi. Ma il via libera continua a non arrivare, in un crescendo di tensioni che stonano con i toni rassicuranti adottati nelle scorse settimane dall’esecutivo giallorosso. A spaventare, è l’ipotesi di una mancata intesa: cosa succederebbe senza una soluzione definitiva? Secondo i patti stretti a marzo, a quel punto la multinazionale potrebbe disimpegnarsi versando una penale di 500 milioni di euro.
L’ipotesi che sta prendendo piede in queste ultime ore è quella di un ulteriore rinvio, con un accordo-ponte che servirebbe più che altro a prolungare la data di scadenza. Sul tavolo, infatti, i nodi da risolvere sono ancora troppi, a partire dai ruoli di privato e pubblico nella nuova società: Chi sarà maggioranza? A chi la possibilità di esprimere l’amministratore delegato? Domande ancora senza una risposta. Così come è ancora in alto mare la stesura degli atti su cui si reggerà la nuova struttura societaria.
A preoccupare è la consapevolezza che gli esuberi ci saranno, sicuramente, è che sugli ammortizzatori sociali per gestirli al momento le certezze sono invece poche. 1.800 i dipendenti rimasti in carico all’ex Ilva e non selezionati da ArcelorMittal e in cassa integrazione da novembre del 2018. Gli animi sono ormai esasperati, come dimostrato dal blocco dei varchi dello stabilimento organizzato dai lavoratori di Cornigliano in protesta contro il licenziamento di tre dipendenti. Anche gli impiegati di Taranto sono in fibrillazione, tanto da aver convocato per le prossime ore il Consiglio di Fabbrica.
Al governo non resta così che sperare nel mutato atteggiamento, almeno di facciata, di un’ArcelorMittal che sembra meno determinata ad andare dritta sulla propria strada, verso la rescissione del contratto. Il quadro generale, secondo i giallorossi, è un po’ meno preoccupante: l’indotto di Taranto è migliorato, lo scaduto ad agosto è stato in larga parte pagato, è arrivata la promessa di saldare anche i pagamenti scaduti a settembre e ottobre. Ma, si sa, fidarsi troppo non è un bene, in questi casi. E così le incertezze sulla strada dei lavoratori ex Ilva restano, purtroppo, tantissime.
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