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“Emanuela Orlandi non è stata l’unica!” Una lettera in codice indica una nuova pista: “Altre ragazze e donne…”

Pubblicato il 01/08/2023 21:40 - Aggiornato il 01/08/2023 21:43

Sono trascorsi da pochi giorni quarant’anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, la figlia del messo pontificio scomparsa nel nulla nel 1983. Quarant’anni di silenzi, bugie e depistaggi che, di recente ancor di più, gettano un’ombra oscura anche sul Vaticano, il centro della Cristianità, di cui Emanuela era una cittadina. L’ultima pista investigativa porta a Boston, a quella cassetta e quelle lettere che, dalla capitale del Massachussetts, giunsero al corrispondente romano della Cbs. Sarebbe stata finalmente individuata la donna romana, oggi 59enne e all’epoca poco più che maggiorenne, che le ha spedite. Ma perché? Cerchiamo di ricostruire gli ultimi sviluppi della intricata ed angosciante vicenda. La novità emerge dalle indagini sul giallo (forse collegato a Emanuela, così come la scomparsa di Mirella Gregori, quasi contemporanea) relativo alla morte della ragazza Katy Skerl, strangolata a Grottaferrata nel 1984. Ecco perché le indagini su questo cold case, condotte dal pm Erminio Amelio, passeranno ora al collega Stefano Luciani, titolare del fascicolo aperto un paio d’anni fa, dopo un esposto al Csm della famiglia Orlandi. (Continua a leggere dopo la foto)
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Foto: La prima lettera giunta da Boston (fonte: Corriere della sera)

La cassetta e le quattro missive da Boston

La nuova sospettata avrebbe registrato la comunicazione vocale giunta via posta da Boston il 6 dicembre 1983 al giornalista della Cbs Richard Roth, che, da Roma, seguiva il caso del sequestro Orlandi. Si tratta di una delle quattro rivendicazioni del sequestro giunte da Oltreoceano, all’epoca ritenute autentiche grazie a una perizia grafologica che le confrontò con le precedenti lettere del cosiddetto “Amerikano”, tra i primissimi interlocutori della famiglia dopo il rapimento. La donna sarebbe già stata convocata dagli inquirenti e avrebbe ammesso la propria responsabilità limitatamente alla “recitazione” del comunicato, nel quale si confermava la richiesta dello scambio – già ripetutamente avanzata in precedenza – tra Emanuela Orlandi e Ali Agca, attentatore del Papa due anni prima, il 13 maggio 1981. La stessa testimone si sarebbe detta completamente all’oscuro dell’intrigo, tirata in ballo inconsapevolmente, quasi per gioco. Con un finto accento anglosassone la donna, residente in un quartiere-bene di Roma nord, avrebbe inciso il nastro, evidentemente su commissione, e avrebbe vergato un testo scritto a penna. Per quarant’anni chi ha letto uno dei messaggi di rivendicazione del rapimento di Emanuela Orlandi è stato solo una giovane voce femminile, oggi ha un volto e un nome. L’indicazione di un codice – “795-RNL” –, da usare come parola d’ordine per comunicazioni riservate, è un altro dei misteri nel mistero. Fabrizio Peronaci, giornalista del Corriere della sera, è l’autore dello scoop che appone nuovi e inquietanti tasselli al tragico rompicapo. (Continua a leggere dopo la foto)
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Foto: Una delle lettere e l’articolo sulla morte “annunciata” (fonte: Corriere della sera)

La “profezia” sulla morte di Paola Diener

All’epoca il giudice Domenico Sica stabilì, attraverso perizia grafologica, come accennavamo, che i messaggi ricevuti da Roth erano stati scritti dalla stessa mano che aveva inviato una missiva anche alla mamma di Mirella Gregori e un comunicato su Emanuela Orlandi nascosto in un furgone Rai. Emergono, dunque, dettagli clamorosi quanto sopiti e non approfonditi per quattro decenni. Se, come detto, la prima lettera da Boston confermava la richiesta di scarcerazione dell’attentatore del Papa, la seconda forniva notizie su Mirella Gregori, sparita nel nulla 46 giorni prima di Emanuela, ma è la terza a inquietare: alludeva a una misteriosa “soppressione” di un’altra donna “in data 5-10-1983”. Ebbene, quel giorno fu vittima di quello che fu definito “incidente domestico” (fulminata da una scarica elettrica), Paola Diener, 33enne figlia di Joseph Diener, capo-custode dell’Archivio segreto vaticano. È oggettivamente sconcertante. Infine, la quarta missiva giunta dagli USA richiamava tanto il movente internazionale, cioè frenare l’anticomunismo feroce di papa Wojtyla, sia quello economico, ovvero riappropriarsi dei soldi inghiottiti dal crack del Banco Ambrosiano, presumibilmente riconducibili alla Banda della Magliana e altre consorterie criminali. Sicché un grande gioco fa da sfondo al sequestro delle due quindicenni e a chissà quali altri misteri. Una domanda si fa largo: perché proprio gli Stati Uniti, cui rimandano sia l’accento dell’”Amerikano” sia le missive da Boston? La risposta che si dà Fabrizio Peronaci, ed è effettivamente plausibile, è che si volesse mandare un avvertimento al potentissimo capo dello Ior, il cardinale Marcinkus, americano di Chicago. (Continua a leggere dopo la foto)
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Foto: Marco Acetti

L’ambiguo Marco Accetti, il “supertestimone”

Fa capolino, in tutta l’affaire Orlandi, il fotografo Marco Acetti, che, come si ricorderà, si autoaccusò di essere coinvolto nel caso Orlandi senza essere creduto, e che fu condannato per l’investimento del piccolo Josè Garramon a Castel Fusano, un’altra vicenda assai misteriosa. Dunque, lo stesso Acetti affermò che a scrivere quei biglietti sarebbe stata una giovane a lui vicina, così come vicina sarebbe stata anche colei che i messaggi li inviò da e per Boston. Quest’ultima potrebbe essere la giovanissima (ora ex) moglie del fotografo, all’epoca appunto 19enne, che soggiornò a Boston proprio in quel periodo. Per ora, la donna ha smentito il proprio coinvolgimento. Che dalla “pista di Boston” si possa arrivare, finalmente, alla verità? Ce lo auguriamo un po’ tutti e se lo augura certamente la famiglia Orlandi, che già tanto ha dovuto soffrire.

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