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“Ecco gli effetti avversi del booster”. L’ultimo studio su Science Immunology: cosa succede alle persone con il richiamo

Pubblicato il 31/12/2022 13:50

E se i plurivaccinati s’infettassero di più proprio perché sono plurivaccinati?. Questa è una domanda che ci poniamo e poniamo da tempo alle autorità competenti, consultando semplicemente i dati che venivano e vengono tuttora pubblicati. La domanda è sempre attuale. Un po’ di mesi fa, quando le statistiche avevano iniziato a rivelare questa evidenza, noi avevamo sottoposto la questione a tutti, ma venivamo bollati come spacciatori di fake news. Adesso a darci man forte arriva uno studio pubblicato su Science immunology che dimostra come, a partire dalla terza dose di Pfizer (quindi un booster a mRna messaggero), si verifica un cambiamento nel tipo di anticorpi prodotti dai vaccinati. Un meccanismo che potrebbe essere collegato a una compromissione della capacità di eliminare il Sars-Cov-2 dall’organismo. Questo quindi potrebbe generare una maggiore durata della malattia e, si presume, una ridotta capacità del nostro sistema immunitario di prevenire l’infezione. (Continua a leggere dopo la foto)

L’importanza della scoperta è fondamentale per aggiungere un altro tassello alla ricerca della verità sui vaccini prodotti per il Covid. Ed è molto importante che arrivi ora, mentre qualcuno sembra lasciarsi prendere dalla smania di nuovi obblighi vaccinali sull’onda della psicosi cinese. Ma cos’hanno trovato, di preciso, i 23 scienziati che hanno vergato l’articolo? Esaminando i campioni prelevati, i sanitari hanno verificato che, eseguito il ciclo primario con il preparato Pfizer, i vaccinati avevano generato gam-maglobuline (IgG) di tipo 1, cioè degli anticorpi associati alla stimolazione della fagocitosi cellulare e all’attivazione del complemento. In pratica, queste IgG1 inducono le cellule a “divorare” gli intrusi e mettono in moto un meccanismo di mediazione umorale contro gli agenti infettivi. Fin qui, tutto nella norma, direte giustamente voi. Ma… (Continua a leggere dopo la foto)

Poi succede che – sempre stando alle analisi – già a sette mesi dalla seconda dose, iniziava ad aumentare anche la produzione di IgG di tipo 4. Il loro livello, però, raggiungeva il picco dopo il booster, “in pressoché tutti i vaccinati”, nessuno dei quali aveva contratto il Covid. “A 180 giorni dalla terza inoculazione, alcuni di loro, invece, avevano sperimentato infezioni postvaccinali”. In questi ultimi, le IgG4 erano arrivate a costituire tra il 40 e l’80% degli anticorpi contro la proteina Spike. Occhio: chi s’era contagiato entro 70 giorni dalla seconda iniezione non andava incontro a incrementi del livello di IgG 4. Il che significa che è la terza dose a giocare un ruolo essenziale nella produzione eccessiva e pericolosa (oltre che controproducente) di questa classe di anticorpi. Spiegano ancora gli scienziati: “Le IgG4, che in teoria accrescono l’avidità del sistema immunitario nell’aggredire il virus e le barriere contro i legami tra i recettori cellulari e la Spike, sono altresì collegate a un minor potenziale di innescare le cosiddette funzioni effettrici”. (Continua a leggere dopo la foto)

Meno fagocitosi, meno complemento, minor capacità di eliminazione del virus. È qui il cortocircuito. Spingono per fare più booster possibile, ma poi sono gli stessi booster a ridurre la capacità dell’organismo di difendersi dall’infezione e, se contratta, a espellerla velocemente. Inutile ribadire, inoltre, per la centesima volta che nella variante Omicron, dove la proteina Spike è mutata radicalmente, il plurivaccinato non è protetto dall’infezione. Quando incontra i ceppi mutati, viene aggredito, e una volta che s’infetta, possiede un minor numero di anticorpi utili a eliminare il virus.

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