Premesso che stiamo parlando di due mondi completamente diversi, le due città italiane più simboliche si stanno avvitando su due problematiche che col tempo si sono cronicizzate. Milano sulla sicurezza; Roma su… tutto (e non è tanto per dire). Si tratta di due metropoli amministrate dal centrosinistra, ma i cui sindaci hanno posture decisamente diverse. Beppe Sala non è del Pd e non si capisce cosa voglia fare dopo Palazzo Marino, forse una cosa sua. È un manager. Innanzitutto di sé stesso.
Sa dare le carte politiche e ne controlla le mani. È un manager europeo di quella idea d’Europa che si inzuppa di tendenze green (le piste ciclabili come se a Milano fosse replicabile il modello Amsterdam…), di telecamere per controllare limiti di velocità e sparare multe a raffica, di diritti “moderni” lgbtquia+ perché le calzette arcobaleno sono cool, e di finanza che si pappa la città e tutto quanto ci sta dentro. Beppe Sala è di questa sinistra formato ztl che pesa nei salotti cittadini, nelle relazioni interconnesse.

Ha rivinto facile perché il centrodestra si è dimenticato, diciamo così, di far crescere qualcuno che a Palazzo Marino lo mettesse in difficoltà. Così, se la politica non va in marcatura ecco che quello spazio lo prendono, dal basso, coloro che escono di casa, prendono i mezzi, frequentano la città di giorno, di sera e magari pure di notte. E ne hanno le scatole piene di doversi sentire a disagio – se va bene – quando intersecano capannelli di gente impegnata a far passare il tempo in qualche modo, tra alcol, spaccio, controllo del territorio, furti e angherie varie.

Il Sala ha un problema enorme che si chiama sicurezza e dal quale non riesce a uscire per via della sua… casacca di riformista progressista: accoglienza e poi vediamo che succede. Ecco, sta succedendo che pezzi di città sono totalmente fuori dal controllo di Palazzo Marino e in generale della legalità. Ci vorrebbe la mano pesante ma Beppe Sala non se lo può permettere perché teme di scontrarsi con la sua maggioranza. In cuor suo appalterebbe la sicurezza a chi non andrebbe troppo per il sottile pur di assicurare un po’ di ordine, ma – appunto – la esternalizzazione (parola cara alla Schlein) nun se po’ fa’ come dicono a Roma.
E arriviamo alla Capitale, dove il centrosinistra governa col piglio di uno che è arrivato dall’Europa ed è atterrato al Campidoglio passando dal ministero dell’Economia e Finzanze col governo Conte 2. Gualtieri, Roberto Gualtieri. Gli gridano ormai un po’ tutti, imprecando per i danni che sta combinando. L’ultimo riguarda il traffico dove è riuscito in poche ore a bloccare letteralmente il traffico davanti all’Altare della Patria, creando il Caos Perfetto dove nessuno trovava un pertugio di fuga: non i pedoni (per lo più turisti imbarazzati), non i mezzi a due ruote (bici, scooter e pure i monopattini), non i mezzi pubblici, non i taxi, non le auto. Nulla si muove nella Città Eterna appena celebrata da Roberto D’Agostino e Marco Giusti nella sua santità e nella sua perdizione.

Finché resta in cartolina, finché resta in una dimensione onirica, Roma è perfettamente galleggiante nella sua bolla; ma siccome non si può vivere sempre in apnea quando apri gli occhi e prendi fiato ti fai il segno della croce. Non c’è sicurezza così come non ci sono servizi funzionanti: c’è gente che aspetta da un anno la carta d’identità (situazione perfetta per descrivere come si possa essere cittadini e nello stesso tempo fantasmi…), gente che si ritrova cartelle da pagare intestate ad altre persone oppure a parenti deceduti. Non c’è centro e non c’è periferia nel senso che Roma tratta tutti allo stesso modo. Allora ti domandi: ma il sindaco? Il sindaco non c’è, si nasconde, sprofonda – lui e tutta la sua giunta – nella incapacità di programmare ciò che è assolutamente urgente programmare per evitare il disastro. L’impressione è che Gualtieri autorizzi una qualunque cosa e poi butti per aria i dadi nella speranza che esca la soluzione fortunata. Ma a guardare com’è ridotta la Capitale e come lui e il centrosinistra l’hanno ridotta, viene da consigliare di mettersi in tasca i dadi e cominciare a uscire dagli uffici per farsi una idea del disastro.