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Foggia, Invitalia e 280milioni di euro: cosa c’è dietro il rapporto tra Conte e Arcuri

Pubblicato il 21/10/2020 15:35

Il pezzo qui pubblicato è tratto dal libro “Scimmie al volante. L’inchiesta definitiva sulla classe politica che non ha saputo gestire la crisi del Covid-19”, scritto dai giornalisti Marco Mensurati e Fabio Tonacci ed edito da Sui. Lo ha ripreso il quotidiano Domani ed è molto utili per fare luce sul rapporto tra il premier Conte e il supercommissario Arcuri, l’uomo a cui il presidente del consiglio ha dato in mano le chiavi del Paese. Riscuotendo, va detto, risultati assai discutibili. “Nei giorni in cui Salvini apre la crisi, Conte va nella sua città natale. Quel 13 agosto 2019, Giuseppe Conte prese la macchina e andò a Foggia. Aveva da tempo capito che non poteva continuare a dipendere dalle indicazioni cli altri e che aveva bisogno di creare una base forte di consenso personale. Non gli bastava, però, avere dei buoni numeri nei sondaggi settimanali dei giornali. Aveva bisogno di un consenso concreto, tangibile, elettorale. Un territorio di riferimento che all’occorrenza potesse garantirgli un seggio, una poltrona, un arrocco, una via d’uscita. E il territorio non poteva che essere quello in cui era cresciuto, il foggiano”.

“Conte aveva un appuntamento per lui fondamentale” – rivela una fonte ai due autori del pezzo – “doveva andare a rovesciare una valanga di milioni sul bacino elettorale che nei suoi progetti doveva essere l’assicurazione sulla sua futura vita politica”. Mentre Roma bruciava, dunque, l’uomo con il doppiopetto cercava i voti che non aveva mai avuto. “Ad attenderlo – continuano Mensurati e Tonacci – c’era una persona che oggi gli italiani conoscono benissimo, ma che al tempo era conosciuto solo ai più abili navigatori del potere romano: Domenico Arcuri. Cioè l’amministratore delegato di Invitalia, l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, che aveva un bel regalo per il premier uscente: 280 milioni di euro da versare, non senza conferenza stampa e photo opportunity, sul territorio foggiano”.

“Si trattava del cosiddetto Contratto istituzionale di sviluppo (Cis) per la Capitanata, per usare il nome di tradizione bizantina della provincia di Foggia. La conferenza stampa con cui Conte ha illustrato il trionfo, aveva i toni del comizio democristiano anni cinquanta. Il premier parlava di ‘contratto corale’. Di ‘visione prospettica’. E ancora: ‘Grazie alla sagacia tecnica e alla competenza del dottor Arcuri, ad di Invitalia, firmiamo un contratto per quaranta progetti immediatamente realizzabili, gare per oltre 280 milioni, che già finanziamo, per l’intera provincia di Foggia, quindici comuni, due consorzi, tre imprese, varie fondazioni. Questo già produce un effetto moltiplicatore fino a 568 milioni, non è un progetto eteroimposto, ma progetti che nascono dalla conoscenza del territorio”.

I due giornalisti sottolineano come nel discorso ai foggiani si rintracciano almeno due degli stilemi che faranno da perno a quella che sarà l’intera comunicazione durante l’emergenza corona-virus: “Il dispiegamento massiccio (diciamo pure l’abuso) degli avverbi temporali, tra i quali il più ambiguo di tutti ‘immediatamente’, e l’uso del ‘Coefficiente Arcuri’). Trattasi di un misterioso meccanismo moltiplicatore, il cui funzionamento è prossimo a quello dell’arrotondamento, per cui un numero, dopo un brevissimo giro di parole, cresce o decresce (alla bisogna) fino a raddoppiare, a volte persino a triplicare. In Toscana la chiamano ‘supercazzola’. Alla Capitanata Conte si fa portare 280 milioni che, nella durata fuggevole di una conferenza stampa, si trasformano in 568. Il doppio. Così, d’emblee. I numeri sparati, se non proprio a casaccio diciamo quantomeno con troppa leggerezza, così come gli annunci di problemi ‘già’ definitivamente risolti e di piaghe ‘immediatamente’ debellate (esempio rapido: le mascherine’) saranno uno dei principali refrain dell’intera emergenza Covid, durante la quale il miracolo si ripeterà quotidianamente”.

“Moltiplicando di volta in volta — e sempre senza alcun riscontro o contraddittorio — mascherine, reagenti, tamponi, monopattini, risorse finanziarie, garanzie bancarie, biciclette, baby sitter, tavolini di ristoranti, finanziamenti per le aziende in crisi, soldi per i cassintegrati. Trova così spiegazione l’abuso del Coefficiente Arcuri, il dare per risolti problemi mai nemmeno presi seriamente in considerazione, la creazione compulsiva di task force, il rivolgersi direttamente allo stomaco del paese e mai alla testa. Superficialità ed emotività. E questo ci porta diritti al nocciolo della questione: la pandemia in Italia è stata trattata, dal punto divista della comunicazione, come una campagna elettorale e non come un’emergenza”.

Concludono questo pezzo i due autori: “Se mettessimo in fila tutti i quantitativi di mascherine annunciati da Arcuri nel ruolo di commissario straordinario, ne avremmo avute a sufficienza persino per metterle al nostro gatto. Invece la realtà è stata che non si trovavano, negli ospedali ancora all’inizio di aprile gli operatori sanitari erano costretti a utilizzare più volte le monouso. Si dice che il governo abbia trattato gli italiani come bambini, più propriamente sarebbe corretto dire che li ha trattati come bambini elettori. Dunque sudditi”.

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