La notizia, che arriva direttamente da Ansa, farà contenti coloro che hanno sempre creduto alla bontà delle terapie precoci. È stato confermato, infatti, che un intervento terapeutico precoce a domicilio in pazienti con il Covid-19, tendenzialmente entro 72 ore dai primi sintomi, determina una considerevole riduzione del numero di ospedalizzazioni e della durata dei sintomi rispetto ad un trattamento tardivo. Alla faccia della “tachipirina e vigile attesa”.
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Lo studio sulle terapie precoci
Lo studio è stato portato avanti dai medici del Comitato Cura Domiciliare Covid-19 ed è stato pubblicato sulla rivista American Journal of Biomedical Science and Research. Serafino Fazio, Sergio Grimaldi e Andrea Mangiagalli, medici del Consiglio Scientifico del Comitato, hanno compiuto un’analisi retrospettiva osservazionale, prendendo in esame i dati di 966 pazienti non vaccinati. La scelta è ricaduta volutamente su tale categoria per valutare l’impatto del protocollo di cura in assenza di supporto vaccinale. I pazienti sono stati trattati con ibuprofene, aspirina, nimesulide, indometacina e ketoprofene, in un periodo che va da febbraio a dicembre 2021. Le conferme sono arrivate anche dal sottogruppo di 339 pazienti più anziani (over 50) con età media di 60 anni.
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L’importanza degli anti infiammatori
Tra i farmaci anti infiammatori utilizzati, indometacina e nimesulide hanno determinato zero ospedalizzazioni, a seguito di somministrazione entro le 72 ore dall’inizio dei sintomi.
Si sono registrati i decessi di 6 pazienti (tutti over 50 con almeno una comorbidità), 1 nel gruppo che aveva iniziato la terapia entro le 72 ore (over 80 con patologie pregresse) e 5 nel gruppo che aveva iniziato la terapia più tardivamente. L’Avvocato Erich Grimaldi, in qualità di Presidente del Comitato, ha spiegato che: «Questa ulteriore pubblicazione, su un numero consistente di pazienti, conferma la necessità di intervenire in fase precoce, come ribadito da oltre due anni dai nostri medici, e avvalorato da uno studio randomizzato indiano. I nostri volontari medici, ricercatori, statistici e analisti, stanno continuando la raccolta dati per poter elaborare uno studio ancora più ampio».
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La pericolosità del protocollo di Speranza
Dopo due anni di “tachipirina e vigile attesa” dettata dal Ministero della Salute capitanato da Roberto Speranza, con la complicità di Aifa, Cts e autorità varie, il Comitato Cura Domiciliare è ancora in attesa di uno studio randomizzato sui FANS, ma prendendo in analisi il paracetamolo consigliato nelle linee guida quale farmaco per il gruppo di controllo. Questo «per dimostrarne la definitiva inefficacia, se non forse pericolosità», sottolinea l’Avv. Grimaldi, che poi ha aggiunto: «il ministero della Salute deve comprendere che la battaglia contro il virus non si potrà mai vincere con un’unica arma, soprattutto se non efficace sulle continue varianti.
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Le accuse al Governo
«La realtà delle cose e la trasparenza informativa non sono assolutamente state compagne di viaggio in questi anni di Covid», ha aggiunto la portavoce del Comitato Valentina Rigano, precisando come «gli studi, le persone, hanno dato ampiamente prova di come sia fondamentale un approccio precoce e con determinati farmaci. La verità viene sempre a galla, e sta già accadendo».
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Uno schiaffo morale
Dunque, l’ennesimo schiaffo morale per Speranza e tutta la combriccola di “scienziati” che hanno caldeggiato il semplice utilizzo del paracetamolo attendendo sviluppi futuri, causando, alla luce dei dati, decine di migliaia di decessi. Ci si augura che la magistratura possa approfondire il discorso, vista anche l’ostinatezza nel difendere un protocollo palesemente fallimentare attraverso i ricorsi del ministro Speranza per il mantenimento di tali indicazioni.
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