Se per l’avvocato di Filippo Turetta, l’omicida di Giulia Cecchettin <non è Pablo Escobar> , non sorprende che per la sinistra <Corvetto non è come le banlieu>. Ognuno ha il proprio esercizio quotidiano di iperboli, di retorica, di eloquenza. Corvetto non è propriamente banlieu solo perché ancora la periferia di quelle città francesi, da Parigi a Marsiglia, è completamente fuori controllo, non solo per i numeri ma anche per il fallimento del modello assimiliazionista. Spero che i teorici dell’accoglienza e della società sempre più aperta non ci vogliano portare a sbattere. Corvetto non è banlieu come Turetta non è Escobar: non si sovrappongono ma ciò non toglie che intere zone siano fuori dalla legalità, come l’omicida di Giulia non è meno criminale pur non essendo il capo del narcotraffico.
A Corvetto si è consumato uno schema tipo: i balordi diventano delinquenti, infrangono una serie di regole, sono inseguiti dalle forze dell’ordine e per colpa di quell’inseguimento si consuma la tragedia. Che diventa il pretesto per marcare il territorio. Poi cosa accade? Accade che ciò che dovrebbe essere fuori discussione viene messo in discussione: chi infatti sta dalla parte della ragione sono le forze dell’ordine, chi sta dalla parte del torto sono coloro che infrangono i posti di blocco, seminano il panico con la fuga in scooter mettendo a repentaglio anche la incolumità di gente che non c’entra nulla con quella fuga di otto chilometri. I famosi “particolari in cronaca” ci raccontano che “nelle tasche dei ragazzi c’erano duemila euro, un coltellino, lo spray urticante e una collanina che non si esclude possa essere stata rapinata nella serata”; e che nella fuga in scooter Ramy, il ragazzino poi deceduto, ha perso il casco lungo la strada.
I mattinali delle forze dell’ordine sono pieni di questi inseguimenti, di questi scontri; per non dire delle risse organizzate da queste bande di “maranza”: regolamenti di conti, controllo del territorio o solo esercizio di prepotenza dove tante volte ci vanno di mezzo persone per bene e lavoratori (come i conducenti nel trasporto pubblico). Stavolta però l’asticella si è alzata: Ramy diventa il pretesto di una sfida a polizia e carabinieri, diventa la “ragione” per creare disordine, incendiare cassonetti e replicare un po’ di quegli scontri che via social passano nei telefonini: ora tocca a loro essere protagonisti della rivolta, tocca a loro ribaltare la narrazione dei buoni e dei cattivi. <In questa zona di m… siamo dimenticati. Qui non abbiamo futuro>, <Non è che siccome siamo stranieri allora siamo tutti ladri e spacciatori>. <Ho bisogno di sapere la verità su mio figlio – dice il padre – Tutti gli italiani hanno chiesto verità per Giulio Regeni, ora chiediamo lo stesso per mio figlio che è il Regeni per noi egiziani>. Buuum!
L’altro giorno su Repubblica ci voleva giustappunto il bravo architetto, scrittore, drammaturgo di sinistra a farci la morale: <Corvetto non è una banlieue e neppure periferia. Smettiamola di usare parole a sproposito, non aiuta a capire di cosa stiamo parlando> .
Ecco, il “di cosa stiamo parlando” è il non inedito punto di vista con cui a sinistra hanno gestito immigrazione e integrazione: farli arrivare e buonanotte al secchio. La sinistra ora cerca di ripulirsi la faccia dicendo: “Al governo c’è il centrodestra, chiedete a loro…”. La gente sa benissimo che a questa situazione siamo arrivati perché loro non volevano la linea dura, bisognava accogliere e infilarli nelle Corvetto d’Italia. <Non c’è odio. C’è frustrazione> , ci spiega Repubblica, . Insomma la solita predica, la solita linea di difesa per cui Corvetto non è banlieu e l’omicida di Giulia non è Escobar…