x

x

Vai al contenuto

Paragone: “Usciamo dall’Ue e scardiniamo questo neoliberismo”

Pubblicato il 06/07/2020 14:20

Il nuovo movimento politico che Gianluigi Paragone sta lanciando raccoglie sempre più consenso e attira molto interesse. Oggi, Eugenio Galioto ha voluto intervistare il senatore per Termotro Politico. Con i suoi 873.513 followers su Facebook, gli oltre 138.000 su Twitter e i grandi numeri che sta raccogliendo anche questa testata (Il Paragone), l’ex M5S è uno dei politici italiani più seguiti dalla rete. “Io mi sono candidato con il M5S con un programma dichiaratamente antiliberista e contrario a questa Ue”, racconta Paragone a TP. La rottura definitiva col M5S avviene quando, il 18 dicembre 2019, Paragone vota contro la Legge di Bilancio, definendola “conforme alla logica della gabbia di bilancio imposta da Bruxelles”.

Paragone lancerà nelle prossime settimane un nuovo partito. Il programma è semplice: uscire dall’euro e dalla”gabbia” dell’Unione europea, recuperare sovranità democratica e monetaria, rilanciare il primato dello Stato sul mercato (dunque di un neo-keynesismo sul neo-liberismo). Spiega Paragone: “Questo è un partito che non c’è. Qualcuno ha provato a fornire delle suggestioni contrarie all’Unione europea e all’euro, ma nessuno ha apertamente dichiarato di voler uscire. Il nostro è un partito funzionale all’uscita, per me è la prima questione che pongo sul tavolo perché si tratta di scardinare l’architettura neoliberista dell’Ue”.

Continua Paragone: “L’errore del M5S? Il tradimento profondo dell’identità antisistema che lo caratterizzava. Il perché l’abbia commesso è facile da spiegare: il sistema cerca di cooptare le forze nemica e lo fa con le melodie più affascinanti. Il “canto delle sirene” del sistema è fatto di poltrone, prestigio, potere…quindi è facile dimenticare la predicazione antisistema che ti aveva caratterizzato e che, nel caso del M5S, era stata anche premiata dagli elettori. Non dovremmo dimenticare la composizione e il significato politico di quell’elezione de 4 marzo. Gli italiani votarono due forze antisistema per rifiutare le solite ricette interscambiabili tra destra e sinistra”.

Sulla Lega Paragone spiega: “È schizofrenica: dice no euro e poi vuole Draghi. Non si può essere sovranisti e liberisti allo stesso tempo. Dopo mesi di retroscena per cui sarei passato o dovuto passare con la Lega, sono ancore ben impiantato nel gruppo misto e sto lanciando un nuovo partito. Quindi, mettiamo a tacere tutti quelli che scrivevano che sarei stato ‘il primo acquisto della Lega’ e colui che avrebbe traghettato i malpancisti del M5S verso la Lega. Niente di più falso. Per il resto, ho buoni rapporti con Bagnai, con Borghi, con Rinaldi, così come con Stefano Fassina e tutto un mondo sovranista che sta a sinistra, perché a me interessa la grammatica che può accomunare chi ritiene sia necessario uscire da quest’Europa. Io sono per un sovranismo che punta molto sullo Stato, non ho paura a rivendicare la forza dello Stato e il primato del pubblico sul privato e sui mercati. Non sono affatto sensibile ai richiami delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni che indeboliscono la centralità dello Stato”.

“A proposito dei regionalismi, ad esempio, io sono contrario a spingere per maggiori autonomie, soprattutto adesso – aggiunge Paragone -. Il rischio è che si va a disarticolare il potere dello Stato, nel momento in cui, facendo i conti con quest’Europa, c’è bisogno esattamente del contrario. Ricordiamo che l’Europa delle macroregioni è quella che aveva in mente Jean Monnet… e oggi si sta realizzando. Un altro elemento che mi differenzia dalla Lega è questa mania dei leghisti per un’Italia fatta di cantieri. Io di avere interi territori aggrediti dalle gru non ci penso affatto. Non perché non voglia gru, bensì perché penso ci sia più bisogno di “scalpellini”, perché il nostro è un Paese che ha bisogno della riparazione paziente chi sa maneggiare scalpellini”.

“Anche le piccole opere hanno bisogno di un’importante spesa pubblica. Ad esempio, noi tutti conosciamo adesso Matera, ma pochi conoscono Ginosa e Massafra. Eppure, Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini è ambientato tanto nelle gravine di Matera quanto in quelle di Massafra e Ginosa. Potrei menzionare anche Fossagno che ha una gipsoteca con tutti i gessi e le opere del Canova. Sono bellezze e risorse di una Nazione come la nostra che è frutto di tante identità e tradizioni, perché non dimentichiamo che noi siamo figli anche dei campanilismi e delle signorie. Attenzione quindi a pensare che la gru, la cementificazione, l’opera siano di per sé un vantaggio irrinunciabile per il Pil e per l’economia italiana. Delle volte, per buttare una colata di cemento, si perde di vista il valore di una restaurazione. Io non sono contrario alla spesa pubblica per le infrastrutture, però vorrei che le scelte siano sorrette da idee, da progetti, da una visione di Paese. L’Italia è un Paese molto delicato, da maneggiare con grande cura. Lo Sapevano bene i nostri Padri costituenti che lanciarono una sfida alle classi dirigenti dell’epoca e a quelle future: quella della piena occupazione”.

“Basterebbe capire la densità della Costituzione, un testo che a leggerlo oggi è rivoluzionario, per essere “dalla parte del giusto”. La nostra è una Carta che ha all’interno un articolo, il 36, che sancisce il diritto a una retribuzione “sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Cosa fanno i neoliberisti? Sostituiscono la retribuzione con la paga, poi la paga diventa paghetta. E si è costretti a indebitarsi. Ed è quello che è successo con la crisi del 2008 e seguenti: il ceto medio, impoverendosi, è stato costretto a indebitarsi. Venendo meno la giusta retribuzione, si integra ciò di cui si necessita col debito. Eccolo qua l’inganno della modernità! Occorre recuperare il senso della Costituzione e dei diritti in essa espressi. Solo così mettiamo il Paese nelle condizioni di ripartire. Oggi l’Unione europea è fatta di multinazionali che, grazie al dumping fiscale e lavorativo, sono libere di scorrazzare per l’Europa, sfruttando lavoratori a norma di legge in Italia o nella dorsale est-europea. Pensiamo davvero di costruire così la cittadinanza europea?”.

Oggi il MoVimento è una fake politica. Fino a quando l’Unione europea avrà al suo interno dei paradisi fiscali non sarà mai effettivamente un’Unione di Stati. Non possono convivere situazioni di dumping con la rigidità monetaria. Ciò che dovrebbe essere flessibile, innanzitutto alle asimmetrie esistenti all’interno dell’Unione, è proprio la moneta. La teoria della moneta moderna è assolutamente utile se vuoi sganciarti dall’eurozona. Noi stiamo già avendo diversi contatti con accademici ed esperti al fine di strutturare al meglio la nostra proposta politica e programmatica. Non vogliamo commettere gli stessi errori del M5S quando ha proposto l’uscita dall’UE, senza uno stralcio di progetto, senza avere le capacità sul piano tecnico per realizzarla. L’MMT è sicuramente una delle teorie che prendiamo a supporto per sviluppare il nostro progetto di uscita dall’Unione europea”.

“L’Unione europea non è gli Stati Uniti d’Europa, perché la Banca centrale non svolge il ruolo di prestatore di ultima istanza e si avvale di un acquedotto la cui acqua è generata dai mercati finanziari. Questo è il massimo della potenza di fuoco che può essere espressa dall’Europa. Se provassimo ad esportare le ricette che l’Ue propone per la ripresa – dal Mes al Recovery, dal Sure al Q.e- negli Stati Uniti d’America, ci ridirebbero in faccia. E avrebbero ragione! Ci direbbero: perché non create una Banca centrale che possa stampare moneta illimitatamente? Invece noi siamo costretti d’abbeverarci nei pozzi dei mercati… E i mercati possono anche darti qualche fiche gratis affinché continui a giocare. Le altre poi, però, si pagano. Ecco, il Mes “light” (quello senza condizionalità per le spese sanitarie, Ndr) è la fiche gratis”.

“Tutti pensano che il Recovery sia un “bazooka”, ma lo schema è lo stesso dei programmi di finanziamento europei. Gli Stati presentano all’Ue un programma e quel programma viene finanziato. Ma qui la situazione è diversa. Se vado in sofferenza perché la pubblica amministrazione smette di pagarmi, non è che devo ingegnarmi per presentare un programma per ottenere quei soldi che mi spettano. Devo ottenere quei soldi, punto e basta. Invece, i finanziamenti che proverranno dal rubinetto del Recovery saranno dei soldi che dovremmo giustificare e dimostrare di saperceli guadagnare sulla base di un programma specifico. Avremo soldi per il digitale, il 5 G, l’industria 4.0 (che significa automatizzare ancor di più la produzione, aggravando la crisi occupazionale in corso): in altre parole, riceviamo dei soldi per finanziare qualcosa che non sarà oggetto di una discussione democratica, bensì di un diktat esterno da Bruxelles”.

“Secondo me attiveremo sia il Mes sanitario che il Mes con condizionalità. Quando si è in difficoltà, come siamo noi, non si è in grado di operare delle scelte. Mettiamo da parte la questione delle condizionalità del Mes – anche la versione “light” non è affatto priva di condizionalità, perché noi paghiamo un obolo al Mes -, e con centriamoci sull’aspetto della funzionalità. Mi chiedo: è normale chiedere al Mes, un soggetto di natura privatistica, i finanziamenti per la sanità pubblica di uno Stato, dopo che per decenni Bruxelles ha mandato letterine in cui si raccomandava la riduzione della spesa pubblica (della spesa sanitaria in primis)? Prima Bruxelles interviene, come è accaduto in questi anni, per disarticolare e indebolire la sanità pubblica italiana, poi oggi ci chiede di accedere ai suoi finanziamenti per la sanità. In questi mesi abbiamo schiaffato neolaureati in medicina nei reparti a gestire l’emergenza Covid, dopo che per anni si è detto a chi usciva da medicina che si sarebbe dovuto specializzare, salvo poi scontrarsi con il blocco delle assunzioni. La spesa per la sanità pubblica è la spesa primaria di uno Stato”.

“Da settembre, quando verrà data possibilità alle imprese di licenziare e non ci saranno più soldi della cassa integrazione, capiremo davvero cosa significhi il Pil a -13%. È chiaro che qualcuno avrà il mal di pancia, ma il grosso del MoVimento terrà e la maggioranza resterà compatta. Mi sembra improbabile che, dopo che si sarà approvato l’uso del Mes, autorizzando quindi l’intervento dei mercati, possa scoppiare una crisi di governo. Non si può volere la moglie ubriaca e la botte piena. Il MoVimento ha tradito lo scopo per cui era nato e dovrà interrogarsi nuovamente sulla propria identità, ma in ogni caso quando vendi l’anima al Diavolo, prima o poi il Diavolo ti chiede il conto. Io credo che oramai la strada di questo governo è segnata nel solco dell’Europeismo e dell’”unionismo”. Avrebbe dovuto intraprendere una battaglia a Bruxelles molto tempo prima, così da aumentare il potere contrattuale dell’Italia. La Merkel è autorizzata a impartirci lezioni sull’utilizzo dei fondi del Mes, semplicemente perché Conte a dicembre rilasciò un’intervista al Financial Times in cui disse che questo governo avrebbe richiesto i prestiti del Mes. Conte e Gualtieri hanno assicurato alla Germania che l’Italia sarebbe rimasta dentro il solco delle regole dell’Unione. Il rischio di una crisi di consensi, a mio avviso, non esiste, perché Conte passerà alle cronache per colui che avrà saputo procurare del finanziamento nel momento in cui l’Italia era in condizioni drammatiche”.

Conclude Paragone: “Se i rubinetti non si aprono e c’è bisogno di farli aprire, piuttosto che niente, meglio il Mes. Questo è il ragionamento di Conte, sostenuto da tutti i principali giornali italiani schierati a favore del Mes e disposti a fare il lavaggio del cervello alla gente che, bisognosa di soldi, certo non si metterà a fare le pulci ai dettagli tecnici del Mes, calcolando il rischio della sua attivazione per l’Italia. Se stai soffrendo a causa di un dolore lancinante, non badi a distinzioni. Sei portato a dire: dammi un analgesico, della morfina, quel che vuoi, purché mi faccia cessare questo dolore! Ecco, la situazione in cui ci troviamo è questa”.

Ti potrebbe interessare anche: Il prestito al Fatto Quotidiano, la tipografia di Totò e Peppino e Travaglio