x

x

Vai al contenuto

Nuova epidemia dagli USA, 158mila morti l’anno per “mancanza di senso”

Pubblicato il 20/08/2020 13:16

Dagli Usa, storica avanguardia delle tendenze che poi invadono gran parte del mondo economicamente avanzato, arrivano segnali negativi. Aumentano notevolmente le “morti per disperazione”. Nel 2017, solo negli stati uniti, sono decedute 158mila persone per suicidio, overdose o malattie correlate all’abuso di alcool. 

Tanto per rendere l’idea, l’autore dell’articolo che compare su Il Sole 24 Ore,Vittorio Pelligra, commenta: “È come se ogni giorno di quell’anno tre Boeing 737 MAX si fossero schiantati, causando la morte di tutti i passeggeri”.

Parliamo quindi di una tragedia dalle dimensioni enormi che trova origine in “una società che non riesce più a offrire ai suoi membri un ambiente nel quale essi possano vivere una vita dotata di senso”. Un fenomeno dalle dimensioni rilevanti proprio come se fosse una epidemia, affrontato da Angus Deaton e Anne Case, attraverso un corposo studio appena pubblicato (“Deaths of Despair and the Future of Capitalism”, Princeton University Press, 2020); che accumuna chi viene colpito dalla “mancanza di senso” e dalla la percezione che la vita sia sempre meno degna di essere vissuta.

Nel suo classico studio sul suicidio, il sociologo Émile Durkheim – fa notare l’autore dell’articolo- aveva ipotizzato che il fenomeno riguardasse principalmente le classi istruite e ricche. Oggi assistiamo invece a un fenomeno differente: il dolore cronico si manifesta tra coloro che vengono lasciati indietro, che non riescono a stare al passo di un modello di vita che viene narrato come l’unico degno di essere perseguito, ma che inevitabilmente gli è precluso a causa delle condizioni economiche, educative e di salute, che negli anni sono andate peggiorando.

Il fattore economico è importante, ma non è l’unico. Case e Deaton ritengono che “la sofferenza dipenda anche dalla perdita di status e di senso associati a certi lavori e dalla perdita della struttura sociale connessa al lavoro”. Il dolore sociale, per esempio quello che deriva dal senso di esclusione o di inutilità, non è meno debilitante del dolore fisico. Basti pensare che quando si esperiscono indifferentemente dal tipo di dolore, si attivano nel nostro cervello molte aree comuni. 

I fattori protettivi contro questo dolore sociale sono il fatto di avere un lavoro cui attribuiamo un significato e un’utilità sociale, buone relazioni familiari con il partner e i figli; e di appartenere a una comunità che possa aiutare e rispondere anche a bisogni di natura spirituale.

Oltre al fatto che ha coinvolto e coinvolge milioni di persone, il caso delle morti per disperazioni è importante perchè dietro di esso si rivela il terribile cortocircuito messo in piedi da quella parte del capitalismo contemporaneo, che si concentra esclusivamente e ossessivamente sul profitto a qualunque costo, anche al costo appunto di innumerevoli vite umane. 

La risposta è retorica, ma la domanda che alla luce di quanto detto ci si dovrebbe porre, per poi ripartire da questa riflessione, è: com’è successo che l’economia -in questo caso americana- sia passata dal voler servire l’interesse di ogni cittadino e consumatore ad assumere come unico obiettivo rilevante gli interessi delle imprese, dei manager e degli azionisti?