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Muore in fabbrica a 32 anni: l’ennesima tragedia in un’Italia dove si muore ancora “di lavoro”

Pubblicato il 19/04/2022 10:49

Nel silenzio generale di una politica lontana dalle famiglie italiane e di sindacati ormai distanti anni luce dalle reali esigenze dei lavoratori, nell’Italia del 2022 è andato in scena l’ennesimo, inaccettabile dramma sul lavoro. Un’altra morte, quella di un ragazzo giovane e con tanti progetti per il futuro nel cassetto, scomparso in un Paese dove svolgere la propria professione è ancora un rischio e, purtroppo, di storie del genere se ne leggono ancora a cadenza quasi quotidiana.

A raccontare la storia di Davide Scanio, 32 anni, è Repubblica, che ha scelto di dedicare una rubrica proprio a quelle tante vittime che finiscono facilmente dimenticate, trasformate in statistiche sbandierate da questo o quel politico a ridosso delle elezioni. In Italia, ha ricordato il quotidiano, ancora oggi un lavoratore su tre non fa ritorno a casa e l’espressione “morire di lavoro” è ancora strettamente attuale. Come nel caso, appunto, di Davide, impiegato in una fabbrica metalmeccanica di Arquata Scrivia, nell’Alessandrino.

Davide lavorava a dei macchinari per gli imballaggi. Un’occupazione svolta per 10 anni, uno degli operai più apprezzati all’interno della fabbrica, tanto da essere diventato trasfertista. La sua tuta è rimasta incastrata in un tornio che lo ha trascinato, uccidendolo. Nato a Roccapalumba, Palermo, si era trasferito da ragazzo con i genitori e il fratello più grande, Gianluca, prima a Novi Ligure, poi ad Arquata dove aveva comprato un appartamento insieme alla compagna Liliana.

“Ci siamo conosciuti da ragazzi e, anche se giovani, già lavoravamo e ci consideravamo ‘tosti’ – ha detto Liliana durante l’orazione in chiesa – Eravamo pronti a costruire insieme il nostro nido, progettando insieme il futuro. Assumo l’impegno di prendermi cura di chi amavi e di continuare a credere nei nostri sogni”.

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