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La gabbia Globalista del Draghistan e l’attacco alla democrazia

Pubblicato il 02/05/2022 18:25 - Aggiornato il 07/12/2022 17:52

di Gandolfo Dominici, Professore Associato di Business Systems e Marketing – Università di Palermo – esperto di Cibernetica Sociale – Editor in Chief della rivista scientifica Kybernetes – CV: https://gandolfodominici.it/

È ormai chiaro a chiunque abbia ancora un minimo di senso critico che oggi esistano solo oligarchie e che i princìpi della Democrazia occidentale siano ormai decaduti. Non fa eccezione il Draghistan – fu Repubblica Democratica Italiana fondata sul Lavoro (R.I.P.) che – oggi – è di fatto tra le più tiranniche e allineate al trend politico economico e sociale delle élite globaliste che sanciscono i comandamenti del “politically correct”. 

Il predominio incontrastato di queste oligarchie è in atto da tempo, ma negli ultimi due anni di “crisi pandemica” – e ora anche di “guerra alla Russia” – assistiamo al suo pieno compimento e all’implementazione del  “Great Reset” già annunciato negli atti del World Economic Forum e dal suo fondatore Klaus Schwab, attraverso i suoi libri. 

Occorre precisare che dichiarare che il mondo odierno sia governato da élite sovranazionali non sia annoverabile tra le “teorie della cospirazione”; già decenni orsono, ne scriveva Zygmunt Bauman, così come tanti altri sociologi di fama mondiale, che descrivevano queste élite come una vera e propria SuperClass[1], cioè una super élite, globale ed apolide, non soggetta ai meccanismi nazionali di controllo istituzionale e democratico, ma in grado di influenzare – anche in modo sostanziale – attraverso leve finanziarie, lobby e potere mediatico, le politiche dei paesi di tutto il mondo. 

Il ruolo degli Stati nazionali si riduce, dunque, a quello di meri esecutori dell’ordine deciso da queste “aristocrazie” globali. Si ricorda che il termine aristocrazia deriva dal greco antico ἀριστοκρατία, composto da ἄριστος «ottimo – migliore» e -κρατία «-crazia: governo/comando»  dunque il “governo dei migliori”. Non a caso dunque SuperMario Draghi ed il suo “governo dei migliori” (aristocrazia) proviene da questa medesima SuperClass, e da essa è stato nominato (mai eletto) ed acclamato quale indiscusso sultano del Draghistan. 

Sembra vano ribadire come il termine “aristocrazia” (governo dei migliori) sia sintatticamente e incontrovertibilmente contrapposto a quello di “democrazia”, cioè governo del popolo. Nelle aristocrazie la sovranità appartiene ai presunti “migliori” (leggasi oligarchie plutocratiche) e non del popolo come vorrebbe l’art.1 della Costituzione della fu Repubblica Democratica Italiana, quella stessa Carta Costituzionale che è stata – ormai – declassata al rango di cavillo, tanto dall’essere scavalcata (nel silenzio o con il consenso di illustri costituzionalisti di regime) persino da atti amministrativi come DPCM e circolari ministeriali con la connivenza della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato, entrambi opportunamente infestati ed inquinati da amici del regime draghistano.

D’altro canto abbiamo visto come il “governo dei migliori” (aristocrazia) del Draghistan abbia reso permanente un (presunto) stato di eccezione, e questo ignobile traviamento del diritto ha come corollario e diretta conseguenza la truce possibilità di ignorare le norme costituzionali in nome di decisioni prese altrove e fuori dal controllo dei sistemi istituzionali nazionali (ma anche europei).  

Il Parlamento ha ormai perso, per abdicazione o perché gli è stato strappato, il suo ruolo legislativo, e la sola funzione cui ritiene aspirare è adempiere al mero passaggio formale delle Norme da quelle Aule per ratificare le decisioni del governo (tramite Decreti) che – a loro volta – sono prese dalle sopracitate élite nell’attesa di maturare il diritto di poter legalmente rubare una pensione parlamentare.

Se, da un lato, i meccanismi di controllo democratico vengono elusi, dall’altro i dettami globalisti di ciò che viene distortamente presentato alle masse come “politicamente corretto” assumono le modalità proprie di un regime totalitario dove tutto è dello Stato (ritenuto – peraltro – coincidente con il potere esecutivo del governo), che può liberamente disporre del corpo e della vita dei sudditi come un allevatore con i polli in batteria! (ma, forse, con meno vincoli).

Questo stato di cose è conseguenza dell’implosione subita dal sistema neo-liberista occidentale. Infatti, dopo il 1991, anno in cui è avvenuto il crollo del regime comunista in URSS, ci siamo trovati di fronte ad un ordine mondiale unipolare guidato dalla egemonia culturale, economica e militare delle élite sedicenti “progressiste” statunitensi (ma anche europee). Questo strapotere delle élite plutocratiche occidentali ha sterilizzato e reso inutili quegli stessi “valori fondativi” del sistema occidentale che si basavano su due pilastri:

  • lo stato di diritto e l’inalienabilità dei diritti;
  • la neutralità politica e la fiducia nel sistema finanziario.

Non può negarsi, da parte di chiunque sia ancora capace di onestà intellettuale, come “patto sociale” su cui si era retto l’Occidente durante la (prima) guerra fredda sia stato violato e tradito dalle illegittime (e per lo più illegali) restrizioni e dalle discriminazioni draconiane (o per meglio dire “dragoniane”) imposte, prima con il pretesto del Covid, e ora anche con quello della mai dichiarata guerra alla Russia.

Occorre, a questo punto, chiedersi quali siano oggi i valori dell’Occidente? 

La “libertà”, che lo stesso Presidente della Repubblica ha dichiarato “non si può invocare”? 

La “democrazia” dei governi non eletti e del folle e retrogrado pensiero unico “politically correct”, dedito alla più becera ed imperante cancel culture?

Oppure l’inclusione sociale e la società aperta, come nel caso ancora drammaticamente attuale degli insegnanti, che prima sono stati sospesi senza stipendio, e ora vengono mobbizzati e rinchiusi negli stanzini –  come per una sadica punizione – perché non hanno stolidamente obbedito alle disposizioni sanitarie del regime Draghistano?

Lo “Stato di Diritto” cammina sulle gambe degli uomini, mentre i princìpi cardine dello stato di diritto vengono stravolti da chi comanda. Secondo questa nuova normalità draghistana il diritto – effettivamente – esiste soltanto quando e nella misura in cui le élite al potere lascino che possa essere applicato, ed è sufficiente che la costruzione mediatica della realtà venga cambiata dalla propaganda governativa, per far sì che i sudditi dormienti non si accorgano nemmeno di tali stravolgimenti. Ed è così che il suddito dimentica e i neo-nazisti con svastiche tatuate che gli stessi media tre anni fa definivano pericolosi fanatici ora diventano eroi e filosofi “lettori di Kant” così come la svastica torna ad essere un grazioso simbolo solare asiatico come prima del nazismo.  

E pochi hanno protestato, sentendo il sultano del Draghistan passare dal suo già esemplare “non ti vaccini, muori e fai morire” all’altrettanto conciso “Preferite la pace o l’aria condizionata?”, e poco importa l’infondatezza scientifica della prima affermazione o la manifesta illogicità della seconda. Il sultano della colonia del Draghistan – insieme ai suoi omologhi europei – obbedisce ai suoi padroni di oltre oceano, incurante delle disastrose conseguenze che patiscono i sudditi ormai privi di qualunque parvenza di sovranità.  

In Draghistan, ma non solo, la guerra viene denominata pace e il liberalismo è degenerato nel totalitarismo del sempre più stringente “politically correct”. Tutto è trasformato nel suo opposto. 

Questa inversione – semantica e valoriale – è potuta impunemente avvenire grazie alla “brandizzazione delle idee” voluta dalle aristocrazie plutocratiche globaliste. Se oggi un “Dem” dice qualcosa di (evidentemente) anti-democratico quello che dice viene comunque considerato democratico perché lo ha detto chi detiene il brand “democratico”.

In una società in cui le persone sono diventate spettatori e consumatori, incapaci di capire ciò che vedono e consumano, non conta più la sostanza di ciò che si fa o si dice, ma il “brand” di chi lo fa e lo dice. La verità stessa è diventata brand, poiché viene spacciata per tale solo se certificata da chi ha il brand di “fact checker”, e poco importa se il certificatore sia un adolescente studente di scuola superiore e il censurato – invece – sia un premio Nobel. Il marchio vale più della sostanza, e ogni qualvolta ci sia il percolo di libertà di espressione gli orwelliani Ministeri della Verità – amministrati da organismi in palese conflitto di interesse lautamente prezzolati a spese dei contribuenti – vengono attivati. 

Elon Musk compra Twitter e minaccia di ripristinare la libertà di espressione, ed ecco che i medesimi leader globalisti Dem che predicavano la libertà di censurare amministrata da Zuckerberg su una piattaforma social privata come Facebook, ora urlano di un presunto “pericolo per la democrazia”, e si preparano ad istituire un Ministero della Verità Federale per impedire la libertà di espressione.

Chi viola il copyright del brand sotto cui è stata posta la verità viene bollato come complottista, se non addirittura un pericoloso “terrorista delle idee” e, ovviamente,  “nemico della democrazia” che deve essere zittito ad ogni costo. Come nel caso dell’emergenza (o per meglio dire “stato di eccezione”) Covid, è stato necessario generare un nemico di cui avere paura e odio affinché – per combatterlo – bisognava obbedire agli arbitrari (e quasi sempre illogici) dettami del regime. Nel caso del Covid il nemico additato erano i cosiddetti “no-vax” – categoria aperta idonea a ricomprendere chiunque deviasse dal Pensiero di Stato. Ora il nuovo nemico è un paese “avversario” (ma non nemico) che è da indicarsi come tale per volontà di chi comanda. 

Ovviamente, nulla più conta la Costituzione della fu Repubblica Italiana che – al compianto art. 11 – sancisce che: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Poiché è caduto il pilastro della certezza del diritto.

Come abbiamo descritto, nella colonia atlantista del Draghistan impera la neolingua orwelliana, di conseguenza la guerra si chiama pace e, per ottenerla, basta spegnere i termosifoni e l’aria condizionata. Così la paura generata dal Covid viene rinnovata con la paura per la Russia. L’odio per i vari capri espiatori del “covidismo” dai podisti alla movida, ai c.d. no-vax, viene riorientato in odio per la cultura russa e per i russi, esclusi pure dalla cultura e dallo sport del regime globalista. 

Pertanto, le bombe su Belgrado – di cui era orgoglioso mandante Biden – erano “petalose bombe di pace”. Quelle che cadono sull’Ucraina, russe e a volte ucraine (ma comunque russe per la propaganda atlantista), sono invece un orrendo massacro voluto dal criminale Putin e delle quali l’occidente – ovviamente – proclama di non avere colpa.  Il suddito draghistano, ormai rassegnato, ha rinunciato alla sua scomoda capacità critica e non ha tempo – tra un aperitivo e uno show televisivo – di notare che entrambe sono guerre ed entrambe fanno schifo!

Assunto che, secondo i dettami della neolingua draghistana, i miliardari russi siano da definirsi “oligarchi”, mentre i loro omologhi occidentali siano da definirsi“filantropi”, appare evidente come gli scomposti interventi sanzionatori operati dall’onnipotente e ineffabile governo del Draghistan nei confronti del “nemico russo” attraverso il sequestro dei beni agli “oligarchi” russi sanciscano la caduta di un ulteriore pilastro del sistema dei valori occidentali: la neutralità politica e la fiducia nel sistema finanziario.

Difatti, sequestrare arbitrariamente e senza alcuna discriminazione i beni ai russi, come bloccare gli investimenti di capitale che siano riconducibili alla Russia, crea un grave precedente minando, allo stesso tempo, la fiducia nei mercati da parte degli investitori. Non può, infatti, comprendersi quale colpa o responsabilità possa avere nel conflitto chi (anche in tempi non sospetti) abbia investito in rubli o chi, perché russo di nascita, abbia investito in occidente, magari avendo abbandonato il suo paese perché dissidente dell’attuale governo.

Ampliando la portata di questo perverso pensiero, a rigor di (il)logica draghistana, sarebbero da sequestrare i beni dei siciliani in quanto in Sicilia c’è la Mafia. Alla luce di queste azioni sconsiderate da parte di che è stato messo a governarci, oggi, quale fiducia potrà avere nei nostri mercati un investitore? Chi porterebbe i propri risparmi in Italia (ma anche nella ormai non più neutrale Svizzera), sapendo che per via di un conflitto (per lui non prevedibile e non certo causato da lui) potrebbe vederseli bloccati e/o sequestrati? 

Ma la miopia governativa draghistana – non credo a caso – non prende in considerazione (o preferisce non farlo) come i sequestri dei beni ai cittadini russi e le altre sanzioni commerciali – non ultimo nell’ambito degli idrocarburi – creino più danno alle colonie atlantiste europee, piuttosto che al “nemico” russo ed al rublo che secondo i grandi esperti di Moody’s doveva crollare, e invece si è ampiamente ripreso. Secondo lo stesso paradigma, il consenso dei cittadini russi per il governo di Putin sarebbe dovuto crollare, ed è invece cresciuto e la Russia ha creato e rafforzato le sue alleanze in oriente come in Africa e Sudamerica. Le sconsiderate sanzioni euroamericane hanno, infine, dimostrato come i russi possano perfettamente sopravvivere senza i-phone, McDonald e borse di Chanel, mentre in Europa – senza le materie prime russe – le fabbriche che producono beni di consumo saranno costrette a chiudere i battenti e i lavoratori e le loro famiglie si troveranno (e già si trovano) senza lavoro e, quindi, senza risorse economiche. 

Appare, quindi, ovvio che sarebbe stato più utile per l’Europa – ma anche per la stessa Ucraina – l’assunzione di un atteggiamento neutrale. Ma essere “neutralista” non è considerato “politically correct” da parte delle aristocrazie globaliste e suprematista occidentali, e le sanzioni masochisticamente (auto)inflitte sono il pegno da pagare ai “filantropi” dell’élite unipolare globalista ottimamente rappresentata dal Draghistan, come dal Kazakistan e dal Tagikistan, che continuano a spingere nell’imposizione di sanzioni boomerang alla Russia invocando il “Whatever it takes” per obbedire a chi comanda l’occidente e mantenere l’ordine mondiale unipolare statunitense. 


[1] – Si veda, ad esempio, David Rothkopf “Superclass: The Global Power Elite and the World They Are Making”, 2009