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Il grano italiano salva la pasta. Ecco le aziende che hanno scommesso (e vinto) sull’italianità

Pubblicato il 13/03/2022 10:21

La Molisana, Agnesi, Barilla, Voiello e Di Martino sono i marchi principali che hanno puntato sul grano “Made in Italy”. Una scelta che, ad oggi, si è rivelata giusta e lungimirante, complice anche la scarsità dell’ultimo raccolto del cereale canadese e americano.
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La pasta nel mercato italiano

La pasta di semola nazionale che finisce sulle tavole dei consumatori italiani è aumentata negli ultimi anni. Oggi, un pacco di maccheroni è aumentato mediamente di 15 centesimi rispetto a prima ma i timori riguardano soprattutto il futuro. Il grano duro italiano occupa il 56% della produzione, mentre la restante parte viene importato, specialmente da Ucraina e Russia. Abbiamo quindi circa la metà della pasta sugli scaffali dei supermercati che viene prodotta con materia prima nazionale, mentre sulla restante parte pesa l’incertezza del conflitto in corso.
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La semola nazionale

Negli ultimi vent’anni la quota di pasta 100% italiana è quasi triplicata. La coldiretti ha lanciato negli scorsi anni una dura battaglia, facendo un appello che, infine, è stato colto da molti pastifici industriali, sancendo accordi con la filiera di produttori agricoli locali. Chi ha operato in tal modo, oggi, riesce a sopperire alla domanda di mercato. Alcuni di essi sono marchi ben conosciuti, veri e propri big di mercato: Agnesi, La Molisana Voiello e Barilla. Proprio quest’ultima si è convertita al Made in Italy, portando due linee su tre al 100% grano italiano.
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I limiti dell’Unione Europea vanno rivisti

I contratti di filiera sono comunque una percentuale minoritari sul mercato, circa il 10% di grano tenero ed il 47% di grano duro. C’è ancora molto da fare. In tempi di carenza di frumento importato si potrebbe, anzi, si dovrebbe derogare alla regola UE che vincola a tenere incolto il 10% dei terreni coltivabili. In tal modo avremmo circa un milione di ettari subito lavorabili a cereali, dando una produzione di circa 75 milioni di quintali di grano e mais, rendendoci autosufficienti. Insomma, sembra che, in tempi di crisi, la globalizzazione stia mostrando tutti i suoi limiti strutturali.

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