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Ecco come stanno cercando di trasformare la pandemia in una eterna emergenza

Pubblicato il 27/12/2021 15:11

Pochi giorni ed entriamo nel 2022. Sono trascorsi oramai due anni da quando abbiamo iniziato a parlare di Covid e da quando è stato dichiarato lo stato di pandemia. Da allora tutti ci siamo chiesti ripetutamente, quando saremmo arrivati al suo termine e quali sono i criteri che stabiliscono che la Pandemia può considerarsi conclusa. Vi proponiamo al riguardo le parti più salienti di uno studio condotto da David Robertson, dottorando in storia della scienza presso la Princeton University, e Peter Doshi, docente associato. I due accademici, il primo divulgatore scientifico ed esperto della storia della medicina e dell’epidemiologia delle malattie infettive e il secondo con un forte interesse accademico per la scienza e la politica delle epidemie coltivato per quasi due decenni, si sono posti tale cruciale domanda e hanno elaborato il medesimo studio. (Continua dopo la foto)

“Non esiste una definizione universale dei parametri epidemiologici della fine di una pandemia. In base a quale metro, allora, sapremo che è effettivamente finita? L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato la pandemia di covid-19, ma chi ci dirà quando sarà finita?”. A questa domanda i due studiosi danno una risposta precisa: “I dashboard delle statistiche – quelli che noi chiamiamo bollettini dei decessi e dei contagi – usati per descrivere l’andamento del virus, che hanno dominato gli schermi e hanno aiutato a tracciare il covid-19, potrebbero non essere sufficienti per definirne la fine e la fine della pandemia non sarà trasmessa in televisione”.

E qui gli studiosi si rifanno a quanto la storia può insegnarci: “A differenza di qualsiasi precedente pandemia, il covid-19 è stato monitorato da vicino attraverso dashboard che mirano a mostrare il movimento e gli effetti in tempo reale del coronavirus; tengono traccia delle metriche dei test di laboratorio, dei ricoveri ospedalieri e in terapia intensiva, dei tassi di trasmissione e, più recentemente, delle dosi di vaccino somministrate”. E proprio queste dashboard, con i loro pannelli di numeri, statistiche, curve epidemiche e mappe di calore, sono finite per diventare i grandi protagonisti di televisori, computer e smartphone ed hanno innescato una rete di meccanismi dal potere tanto rassicurante quanto nocivo. Al centro del “potere” di questi bollettini della pandemia, infatti, vi è “il fascino dell’obiettività e dei dati a cui aggrapparsi in mezzo all’incertezza e alla paura”.

“Hanno aiutato le popolazioni a concettualizzare la necessità di un rapido contenimento e controllo, orientando il sentimento pubblico, alimentando la pressione per contromisure e mantenendo un’aura di emergenza. Offrono un senso di controllo quando i casi si riducono a seguito di determinate contromisure. Oggi l’ubiquità dei dashboard ha contribuito a creare la sensazione che la pandemia finirà quando tutti gli indicatori del dashboard raggiungeranno zero (infezioni, casi, decessi) o 100 (percentuale di vaccinati)”. Ma come la storia delle pandemie dimostra, questo non si è mai verificato.

Basta voltarsi indietro per analizzare, capire e giudicare quanto sta succedendo ai giorni d’oggi. “Le pandemie respiratorie del secolo scorso mostrano che le conclusioni non sono nette e che la chiusura della pandemia è meglio intesa come avvenuta con la ripresa della vita sociale, non con il raggiungimento di specifici obiettivi epidemiologici”. Ed è esattamente alla luce di quanto sono stati in grado di mostrarci con la loro analisi David Robertson e Peter Doshi che, invitandovi alla riflessione, affermiamo che, ai piani alti, se volessero, potrebbero -ingiustamente e irrazionalmente- far durare la Pandemia in eterno. (Continua dopo la foto)

L’utilizzo dei dashboard statistici ha chiaramente rafforzato l’idea secondo cui “una pandemia finisce quando i casi o i decessi scendono a zero”, ma ciò è in contrasto con l’evidenza storica che una sostanziale morbilità e mortalità influenzale continua a verificarsi, stagione dopo stagione, tra le pandemie. Pertanto si può ritenere che “la fine di una pandemia non può essere definita dall’assenza di morti in eccesso associate al patogeno della pandemia”, dichiarano gli autori dell’analisi tra le righe del report.
E questo viene dimostrato persino dalla variabilità stessa nella datazione delle pandemie storiche che evidenzia la natura imprecisa dell’utilizzo dei tassi di mortalità per determinare, anche retrospettivamente, la “fine” di una pandemia segna sempre l’inizio del periodo inter-pandemico”.

Se dunque il criterio resta quello del contagio zero o mortalità zero, allora chi ha interesse a che tutto continui così, Big Pharma che fa utili stratosferici, i media che fanno ascolti iperbolici e i politici che governano senza più alcun controllo men che meno quello del Parlamento, potrebbero decidere di procrastinare indefinitamente questa pandemia trasformandola in un’eterna emergenza.

Per una lettura più approfondita vi rimandiamo al link della fonte, articolo dal titolo “La fine della pandemia non sarà trasmessa in televisione”, BMJ 2021;375:e068094, pubblicato il 14 dicembre2021.