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“Cosa fa davvero il Covid all’organismo”: la ricerca su 36 pazienti che si sono lasciati infettare volontariamente

Pubblicato il 04/02/2022 13:23 - Aggiornato il 07/12/2022 18:13

Una sperimentazione clinica che, quando annunciata, aveva fatto storcere più di qualche naso, quella che ha coinvolto 36 giovani privi di protezioni dal Covid, non vaccinati né guariti naturalmente dalla malattia. Reclutati dal Royal Free Hospital di Londra per un test che li ha visti contagiarsi volontariamente, ricevendo nelle narici una dose, seppur minima, delle prime varianti del virus che nel frattempo stava spaventando il mondo. Gli scienziati hanno potuto così monitorare per settimane il decorso completo della malattia, arrivando a conclusioni sorprendenti.

Come spiegato dal Fatto Quotidiano, i risultati hanno mostrato infatti come l’infezione sia riproducibile e comporti solo lievi sintomi. Secondo i ricercatori, questo ci permette ora di conoscere più a fondo i meccanismi della malattia che negli ultimi due anni ha stravolto le nostre vite, e fa da punto di partenza per lo sviluppo di nuovi vaccini e antivirali.

“La cosa fondamentale, prima di tutto, è che il nostro modello di studio non ha creato sintomi gravi o complicazioni cliniche in nessuno dei giovani partecipanti. I pazienti in questa fascia di età – tra i 18 e i 30 anni – sono considerati tra i maggiori veicoli per la trasmissione e lo studio ci ha consentito di fare un’indagine dettagliata dei fattori responsabili per l’infezione e il propagarsi della pandemia. Le scoperte cliniche più interessanti riguardano la brevità dell’incubazione, l’alta concentrazione virale dal naso e l’utilità dei test rapidi (i lateral flow test)” ha spiegato Christopher Chiu, professore del Dipartimento di Malattie infettive dell’Imperial College.

Stando a quanto emerso, il contagio avviene con sintomi che si sviluppano entro 42 ore dal contatto con il virus, dunque molto più rapidamente rispetto al periodo di incubazione di 5-6 giorni previsto dalle stime esistenti. Gli scienziati britannici hanno analizzato le parti del nostro corpo dopo va ad annidarsi il virus: il contagio comincia a manifestarsi nella gola e poi progredisce per arrivare al picco più alto attorno al quinto giorno, quando l’infezione risulta più abbondante nel naso che non nella gola. Dal naso dunque arrivano potenziali rischi del virus e per questo è importante usare la mascherina in modo da coprire sia questo che la bocca.

I test di laboratorio mostrano ancora livelli di infettività al nono giorno dall’inoculazione e fino ad un massimo di 12 giorni, dando informazioni utili per il calcolo della quarantena. Nessuno dei partecipanti ha mostrato alcuna modificazione a livello polmonare né eventi avversi. In 16 delle giovani cavie il contagio ha dato sintomi da lievi a moderati come naso chiuso o gocciolante, starnuti e mal di gola. Tredici contagiati hanno riportato la perdita temporanea dell’olfatto che per 10 di loro è tornato normale dopo 90 giorni e nei rimanenti tre è migliorato dopo 3 mesi. Promossi i tamponi veloci, che si sono rivelati buoni indicatori della malattia.

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