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Aziende e operai lasciati a secco: dov’è la liquidità? Il bluff del Cura Italia

Pubblicato il 30/03/2020 10:55 - Aggiornato il 30/03/2020 10:56

I soldi del decreto voluto da Conte&Co.? Non arrivano alle aziende, cioè a quelli che ne hanno davvero bisogno ora. Dall’inizio di questa emergenza stiamo provando a dare voce alle micro, piccole e medie imprese, alle partite Iva, ai professionisti, a tutti coloro che, in un modo o nell’altro, sono stati tagliati fuori dalle misure varate dal governo. Il “Cura Italia” non sta funzionando. “La situazione è imballata – conferma a Il Giornale il presidente di Confartigianato Giorgio Merletti – la nostra Pubblia Amministrazione è allenata a ragionare secondo vecchie logiche, non quelle imposte dal coronavirus. E i soldi non escono dalle banche”. Già, perché il decreto non affronta la questione centrale: la liquidità a disposizione delle imprese, soprattutto quelle piccole, ma demanda la distribuzione delle risorse agli istituti di credito, fornendo la copertura attraverso il Fondo di garanzia per le Pmi, la cui dotazione è stata incrementata.

Come spiega Giuseppe Marino su Il Giornale, “il decreto prevede l’automatico prolungamento delle linee di credito già in essere fino a fine settembre e una garanzia statale dell’80 per cento su nuove linee di credito fino a 500mila euro, oltre a un’erogazione immediata di 3.000 euro per le necessità di sopravvivenza del piccolo imprenditore senza verifica bancaria delle garanzie personali, sempre con garanzia pubblica. Ma è la teoria. Nella pratica – spiega Gianluca Timpone, commercialista e docente di Politica economica all’Università europea di Roma – le banche avviano comunque l’istruttoria per verificare la solvibilità, nonostante la garanzia pubblica”. E quindi?

Timpone segnala addirittura qualche caso di vero e proprio tradimento dello spirito del decreto, come è capitato a un imprenditore che ha chiesto di sospendere le rate di un mutuo da 3,2 milioni per sei mesi e si è visto calcolare gli interessi non solo sulle rate sospese da 20mila euro ciascuna, ma sull’intero importo residuo. “Gli interessi pagati su quelle rate così lievitano a un tasso del 30%”, denuncia Timpone. Su un altro fronte, la Bce è vero che ha riconosciuto la straordinarietà del momento, ma concretamente le banche non hanno avuto istruzioni chiare per muoversi.

A rischiare – come diciamo da tempi non sospetti – sono soprattutto le piccole imprese che, denuncia Confartigianato, rischiano di fare da bancomat per le grandi aziende. Molti dipendenti delle Pmi rischiano una Pasqua senza salario o peggio, se le aziende chiudono i battenti. Servono soluzioni semplici e concrete. E servono subito.

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