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Referendum e altre fandonie

Pubblicato il 26/09/2020 07:30

di Lorenza Morello

Oggi, in un momento di democrazia sospesa e stato di emergenza (proclamato come ho già avuto modo di dire anche qui, senza basi legittimanti tanto dal punto di vista giuridico che socio politico) discutiamo l’esito di un referendum su un tema sul quale ciascun partito ha dimostrato il proprio peggio dal punto di vista dell’interesse del “bene comune”. Per fare un esempio, il Partito Democratico in parlamento si disse contrario e ha fatto campagna per il SÌ, la Lega votò a favore ma ha lasciato libertà di scelta ai propri elettori. Nessuna indicazione di voto è arrivata da Forza Italia, contrari Italia Viva e Azione, favorevole Fratelli d’Italia.
Capite bene che, saltati gli schemi, l’elettorato si è sentito disorientato, non ha trovato differenze nette tra destra e sinistra (se mai questi concetti ha ancora senso di parlarne) né tra forze di governo e forze di opposizione e così si è affidato alle proprie sensazioni.

Il quesito era posto in modo da solleticare la pancia dell’elettorato, la campagna elettorale del Movimento 5 Stelle si è scatenata contro la casta e il palazzo del potere (dove dimenticano di sedere ben saldi) benché siano proprio loro ad occuparlo, e questo ha fatto sì che i cittadini esprimessero una frustrazione ed un malcontento nei confronti dei parlamentari che, profumatamente pagati, appaiono poco produttivi e molto corruttibili.

È una narrazione sbagliata, demagogica e populista, cui però non è stata anteposta una adeguata campagna che spiegasse che il nostro sistema decisionale si basa su un inutile e lentissimo bicameralismo perfetto, e che se la volontà fosse quella di rendere più efficiente il parlamento sarebbe stato sufficiente abolire il bicameralismo e con esso il Senato, dando maggiori competenze e autonomie alle Regioni e agli enti locali. Se invece l’obiettivo fosse stato esclusivamente il risparmio per i conti dello Stato, il taglio degli stipendi ai parlamentari era lì, a portata di mano. Invece questa riforma danneggia il funzionamento del parlamento, congestiona le commissioni di lavoro, attribuisce più potere di scelta alle segreterie di partito e meno agli elettori e non raggiunge nessuno degli obiettivi dichiarati dei proponenti.

C’è un dato sicuramente da tenere in considerazione: oltre il 60% degli italiani considerano, di fatto, illegittimo il parlamento in carica, perché ha appena confermato le votazioni di Camera e Senato che chiedevano e ritenevano opportuno il taglio di 345 parlamentari. A fronte di ciò l’unica mossa coerente con l’esultanza di Luigi Di Maio per il risultato referendario sarebbe quella di recarsi dal Presidente della Repubblica chiedendogli di sciogliere le camere per tornare al voto con un parlamento ristretto. Sarebbe incoerente, inaccettabile e farsesca la permanenza al governo di Movimento 5 Stelle e Partito Democratico che hanno chiesto ed ottenuto il consenso dei cittadini su questo tema.

Il tema della crisi della rappresentanza politica è, peraltro, strettamente correlato alla crisi del sistema politico-istituzionale italiano che si trascina da almeno un quarto di secolo e che è ascrivibile anche alla responsabilità di quanti, con troppa superficialità, cavalcarono cinicamente il crollo della Prima Repubblica e, con essa, dei partiti tradizionali, senza alcuna riflessione sistemica sui rimedi possibili.

La storia di questi anni si è incaricata di dimostrare che il vuoto politico che ne è conseguito è stato poi riempito dai partiti personali, ridotti a meri comitati elettorali, che hanno progressivamente rubato l’“anima” anche ai vecchi soggetti politici portatori di idee e valori. Una deriva che contiene in sé il pericoloso germe “orwelliano” del controllo e dell’alterazione processo di formazione e di espressione della sovranità popolare che si esplica nell’esercizio consapevole, libero, personale e segreto del diritto di voto in occasione delle elezioni.
La crisi finanziaria dei partiti, la svalutazione del ruolo delle istituzioni rappresentative come il Parlamento correlata all’impossibilità per gli elettori di scegliere i propri rappresentanti, sono tutte tappe di un processo di scardinamento del sistema politico-istituzionale in atto da tempo. 

Personalmente, trovo che si sia persa una grande occasione per mostrare una maturità politica che forse non tutti i cittadini italiani hanno raggiunto: la possibilità di affermare che la classe politica, o parte di essa, ha deluso, che si chiede un cambio rotta, che si avverte la necessità di rendere più efficiente il Parlamento e di ridurre i privilegi della politica. Ma per fare questo, e qui si sarebbe dovuta mostrare la maturità politica, non si doveva aggredire indistintamente il palazzo e le sue istituzioni, chiedendo un taglio orizzontale che non guarda in faccia nessuno e che non tiene in considerazione che ci sono parlamentari più bravi ed altri meno bravi, che ridurne il numero non significa avere deputati più operosi o senatori meno pagati. E questo, che è mancato, chissà se mai avverrà.