di Antonio Siena.
Mentre gli italiani sono occupati a barcamenarsi fra chiusure e zone colorate, il Governo ha autorizzato la pubblicazione della lista delle aree del territorio nazionale ritenute più idonee ad accogliere i nuovi depositi atomici, luoghi in cui seppellire tonnellate di rifiuti radioattivi. La mappa, denominata CNAPI (Carta nazionale delle aree più idonee), ha individuato numerosi siti, le cui condizioni geomorfologiche li rendono più adatti di altri ad ospitare i depositi. Scarsa densità abitativa, bassa sismicità, nessun rischio frane, alluvioni, eruzioni; distanti dal mare ma in prossimità della rete viaria e ferroviaria. Sono questi i criteri determinanti. Si va dal Piemonte alla Sicilia per un totale di 67. Secondo la mappa ci sono 12 zone molto adatte (prov. di Torino, Alessandria e Viterbo); altre 11 ad elevato interesse (prov. di Siena, Grosseto, Bari, Taranto e Matera). E altre di interesse minore sparse principalmente fra Sicilia e Sardegna.
Oggetto dei depositi sotterranei non dovrebbero essere – come temono le popolazioni coinvolte – le scorie maggiormente radioattive ma “soltanto” rifiuti a media e bassa attività (reagenti farmaceutici, mezzi radiodiagnostici, radiografie industriali e numerosi altri manufatti contenenti torio e americio radioattivi). Il problema però resta. Soprattutto in un Paese che ha da tempo rinunciato ad un’organica e coerente politica energetica e industriale e – viceversa – ha investito in turismo sostenibile, biodiversità e agroalimentare. Riuscendo, molto spesso, ad eccellere e combattere la devastante crisi economica e occupazionale che da anni sta piegando l’Italia.
Un’evidenza di cui il governo pare non preoccuparsi minimamente. Non a caso fra le zone candidate alla costruzione dei siti di stoccaggio ci sono anche quelle che ricadono subito a ridosso del Parco Nazionale dell’Alta Murgia (Altamura – Gravina, prov. di Bari) parco candidato a diventare “geoparco” UNESCO e quello del Parco della Murgia Materana (Matera) due aree naturali protette il cui patrimonio naturalistico, archeologico ed enogastronomico è assolutamente incompatibile con la progettazione di depositi radioattivi. L’area in val d’Orcia nei pressi del Comune di Pienza (Siena) uno dei primi borghi rinascimentali d’Italia e patrimonio UNESCO dal 1996. E ancora la Tuscia viterbese, zona a forte vocazione agricola, zootecnica ed enogastronomica di alta qualità. Inquietante inoltre che venga definito come territorio a bassa sismicità quello del comune di Tuscania (Viterbo), colpito da un violento terremoto nel geologicamente vicinissimo 1971.
Con la stessa superficialità, poi, sono state individuate altre zone come quella del Sulcis, della provincia di Torino, di Alessandria o della provincia di Taranto i cui territori sono già stati devastati da decenni di politiche ambientali scellerate e in alcuni casi si trovano a ridosso di territori importantissimi per le eccellenze enogastronomiche regionali. E da ormai troppo tempo aspettano imponenti e provvidenziali opere di bonifica per poter tornare a vivere e lavorare dignitosamente.
Ragion per cui il piano presentato è certamente da rigettare. E non già per sposare acriticamente battaglie “nimby”, quanto piuttosto per chiedere al governo una diversa e maggiore attenzione su un tema tanto delicato e impattante sulle popolazioni locali e di declinarlo in modo coerente con la visione d’insieme e lo sviluppo economico del Paese. Il piano dei depositi nazionali era fermo dal 2003, come gran parte delle opere pubbliche italiane, non c’è motivo di riprenderlo in questo modo scriteriato, rischiando di vanificare definitivamente quel poco di buono che si è riusciti a fare. Forse è il caso di fermarsi e progettare ex novo non soltanto il ciclo dei rifiuti tossici (magari prendendo spunto da quei Paesi che stanno sviluppando metodi avanguardistici per il trattamento delle scorie radioattive). Ma tutta l’Italia. E solo dopo rimettersi al lavoro. Una volta deciso che da parte andare.