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“Disuguaglianze nostrane”

Pubblicato il 27/03/2021 15:08

di Lorenza Morello presidente nazionale APM

Mario Draghi, nel discorso al Senato per la fiducia al governo, ha citato i dati (studio della Banca d’Italia) relativi alla disuguaglianza, misurati utilizzando l’indice Gini (Corrado Gini Motta di Livenza, 23 maggio 1884, Roma, 13 marzo 1965 – è stato uno statistico, economista e sociologo italiano). L’indice di Gini è l’indicatore, riconosciuto internazionalmente, per misurare la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza: il suo valore, in percentuale, varia fra 0 (massimo della equi-distribuzione) e 100 (massimo della concentrazione: un individuo controlla tutta la ricchezza nazionale).

In Italia si è registrato un aumento dell’indice Gini dal 34,8% del 2019 al 36,5% nel primo trimestre 2020 e al 41,1% nel secondo trimestre 2020. In pratica la pandemia Covid-19 ha evidenziato un aumento della, già preoccupante, diseguaglianza sociale che l’Italia ha maturato in questi ultimi vent’anni. Dalle analisi condotte da Eurostat emerge che nel 2018 l’Italia, con indice Gini 33,4%, era al quarto posto in Europa (su 27 paesi) per disuguaglianza, seguita solo da Regno Unito, Romania e Bulgaria. L’Italia non è mai stata tra i Paesi con minore disuguaglianza tra i diversi individui, ma invece che al quarto posto potevamo essere, per esempio, al decimo posto, come nel 2008, o al ventinovesimo, come nel 2001.

Non passa giorno senza che i mezzi di informazione, dando la parola alla politica, sostengano che la madre di tutti i problemi del nostro Paese, soprattutto quelli legati alla diseguaglianza sociale, sia l’evasione fiscale, creando un nesso causa-effetto tra diseguaglianza sociale ed evasione fiscale. Esaminando i numeri, che derivano dall’analisi delle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche (Irpef) presentate nel 2019 (relative ai redditi 2018) e pubblicate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, risulta che gli italiani hanno dichiarato complessivamente redditi per circa 880 miliardi di euro (+42 miliardi rispetto all’anno precedente) con una media pro-capite di euro 21.600 (Istat). Il totale dei dichiaranti è di circa 41 milioni su di una popolazione complessiva di circa 62 milioni di cui 21 milioni sono: circa 8 milioni da 0 a 14 anni, mediamente senza reddito, e circa 13 milioni oltre 65 anni, mediamente pensionati.

L’ultima relazione (2018), compilata dal Ministero della Economia e delle Finanze (Mef) sull’evasione fiscale, stima che l’evasione di imposte e contributi vale circa 100 miliardi di euro l’anno. Da un punto di vista di puro valore, l’imposta più evasa è l’Iva che, nel 2011-2016, registrava un ammanco annuale di 36,6 miliardi. Seguono Irpef relativo al lavoro autonomo o d’impresa (32,9 miliardi), Entrate contributive a carico del datore di lavoro (8,3 miliardi), Ires (8,2 miliardi), Irap (7,6 miliardi), Imu (5,0 miliardi), Irpef lavoro dipendente ma irregolare (4,5 miliardi), e entrate contributive a carico del lavoratore dipendente (2,5 miliardi).

L’evasione fiscale è un problema che esiste in tutto il mondo e, probabilmente, in Italia è più estesa che in altri paesi europei, ma questo non è sufficiente per giustificare di essere al vertice delle nazioni europee con più alta diseguaglianza sociale. Il vero problema dell’Italia è la nostra incapacità organizzativa, come palesemente dimostrato dalla gestione della somministrazione di massa del vaccino anti-Covid, unita alla mancanza di trasparenza sulla gestione degli introiti da parte dello Stato: è matematicamente incomprensibile oltreche’ moralmente inaccettabile che un paese con un gettito fiscale superiore al 64% non abbia le terapie intensive, e al contempo abbia scuole vetuste e ponti che crollano. Siamo sicuri, oltre ogni ragionevole dubbio, che se, per “magia”, apparissero nelle casse dello Stato i 100 miliardi di euro evasi, sia per necessità che per dolo, il nostro Paese sarebbe in grado di confrontarsi degnamente con i migliori paesi europei?