Sono suonate strane, e parecchio, alle orecchie di chi le ha ascoltate, le parole con cui Nicola Zingaretti parlava di “sovraffaticamento” per il doppio ruolo attuale di presidente della Regione Lazio e segretario del Partito Democratico. La peggior scelta di parole possibile, in tutta franchezza, in un momento storico in cui tanti italiani vorrebbero lavorare di più e meglio ma si trovano a scontrarsi con le limitazioni imposte per contrastare l’emergenza coronavirus. Perché, allora, esporsi in maniera così goffa? Dietro le parole di Zingaretti, in realtà, c’è un chiaro messaggio politico, indirizzato innanzitutto ai compagni di partito.
Zingaretti è stanco di fare il presidente del Lazio, incarico che ora come ora gli porta più rogne che altro e lo allontana dalla segreteria del partito, vacillante. Le elezioni Regionali hanno salvato la sua leadership quando tutti erano già pronti a fargli le scarpe, ma il governatore sa bene che la sua posizione è tutt’altro che blindata. E così, anche se a parole smentisce ogni ipotesi di un suo ingresso nella squadra di governo, Zingaretti punta a un ruolo di primo piano all’interno della formazione giallorossa: per la precisione, quello di vicepremier.
Il Lazio, d’altronde, si sta trasformando in una pericolosa palude per un Zingaretti “impantanato”. Con Stefano Bonaccini che nel frattempo raccoglie consensi, candidandosi a successore dell’attuale leader, e Dario Franceschini che tesse le trame di governo, forte della carica di “capo delegazione del Pd”. Entrambi felici nel vedere il segretario confinato nella Regione Lazio, impossibilitato a esercitare a tempo pieno i suoi poteri. Zingaretti, però, questo lo sa, e bene. E spinge per uno scossone che lo liberi finalmente dal peso che il ruolo di governatore comporta.
L’idea è quella di un ritorno allo schema gialloverde, quando Salvini e Di Maio, leader dei due partiti che si erano alleati per dar vita al governo, avevano entrambi ricoperto il ruolo di vicepremier accanto a Conte. Zingaretti vorrebbe una situazione analoga con sé stesso nei panni di uno dei due pilastri a sorreggere il premier, così da ritrovare di colpo visibilità. Anche perché, non bastassero le beghe interne al Pd, proprio l’Avvocato del Popolo è altra figura molto scomoda per il segretario dem: piace alla gente, funziona davanti alle telecamere, ruba consensi agli altri leader. Al punto che diversi elettori lo indicano come guida ideale per il Partito Democratico che verrà. Al posto, ovviamente, di Zingaretti.
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