Di Gianluigi Paragone – Ci voleva una ricerca, pubblicata ieri su Repubblica e commissionata a Ilvo Diamanti, per catturare il sentimento degli italiani rispetto alla guerra: la maggioranza non la vuole. Non è, sia chiaro, una posizione recente: da tempo la popolazione, interpellata sul tema, esprime a maggioranza la propria contrarietà alla guerra e all’invio delle armi. Ancora una volta il popolo è più avanti delle proprie classi dirigenti, siano esse tecniche (governo Draghi sostenuto da una maggioranza larghissima, da Forza Italia al Movimento Cinquestelle), siano essi politiche come nel caso attuale.
Il popolo non vuole questa escalation militare, è contrario all’invio delle armi soprattutto se – come sta accadendo – diventano sempre più impattanti e devastanti come le bombe a grappolo. Soprattutto gli italiani non vogliono che il conflitto si avviti attorno una spirale pericolosa perché imprevedibile quanto a conseguenze ed allargamento dei fronti.
C’è un sottinteso che emerge dalle risposte che dovrebbe far riflettere politici, analisti e opinionisti: il problema non è aver individuato l’aggressore e l’aggredito o replicare schemi del passato come se la storia si ripetesse con la stessa matrice; il problema è che il popolo ha compreso che nemmeno questa volta è messo nella condizione di poter godere di una informazione corretta, non viziata, che fornisca gli elementi per quelli che sono. I cittadini si sentono presi in giro. Ed è per questo che gli intervistati si staccano dalla identificazione del buono e del cattivo, il che non significa parteggiare per l’uno o per l’altro, o metterli sullo stesso piano. “Stanchi della guerra. Lontani dalla Russia ma anche dall’Ucraina” era il titolo di sintesi della ricerca. Ed è così. Non c’è il distacco rispetto al dramma della guerra, c’è piuttosto il monito a non incistarsi nella lettura della guerra in sé ma di come si può uscire attraverso le categorie della politica. Spicca la bocciatura delle azioni persino degli Stati Uniti, player di primo piano ormai evidente al netto della grammatica diplomatica. Troppe sono state le bugie, le fake per usare un lemma attuale, tenute in piedi dalla narrazione dei buoni, troppo preoccupati a non ingrigire lo schema bianco/nero dei buoni e dei cattivi: perché mentire sul gasdotto Nord Stream? Perché mentire sulla distruzione del ponte di Crimea? E quante altre sono le pseudo-verità in odor di propaganda che scopriremo?
“Ma allora la Russia? Ma allora il popolo ucraino?”. Ecco, credo che sia proprio saltato questo meccanismo. E non per menefreghismo ma per nanismo politico di chi non ha voluto compiere quello scatto in grado di porsi come garante della lettura politica e della mediazione, cioé di quel punto di caduta dove persino la Russia si alzerà dal tavolo con qualcosa che prima della guerra non aveva. Le mediazioni si fanno così; e l’inesistente Europa ancora una volta si è mostrata priva di una identità, suffraganea dell’America. Fuori dalla mediazione c’è la vittoria militare sul campo, che però non è nell’ordine delle cose.