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Rovereto, una storia che si ripete, invano

Pubblicato il 07/08/2023 18:30 - Aggiornato il 08/08/2023 11:23

Di Gianluigi Paragone – I dettagli in cronaca. Per quel che servono. Perché alla fine la cronaca si accartoccia su miserie umane note e prevedibili. Una donna che rientra a casa di notte, perché anche di notte si può consumare un pezzo di quotidianità. Una donna che attraversa un parco a ridosso del centro di Rovereto, città che pochi giorni aveva già fatto i conti con un’altra vittima uccisa da un vicino. 

Iris incontra un balordo, un nigeriano che scaraventa tutto il suo buio umano sulla prima sventurata che capita: botte al volto, sassate sul corpo e violenze di ogni tipo. Anche questo rischia di non essere un fatto inedito. Come non lo è l’epilogo drammatico. E come non lo è nemmeno quel che nei resoconti si riduce all’osservazione che “l’uomo senza fissa dimora fosse noto alle forze dell’ordine”. Iris muore in ospedale per le botte subite da una persona che lì non doveva esserci non per malasorte ma perché semplicemente cosa deve accadere per isolare chi, coi suoi comportamenti, quella violenza l’aveva quasi annunciata? Non si può ridurre tutto a un gioco sventurato di eventi fatali: era nel posto sbagliato al momento sbagliato. No, non si può. Quelle persone non possono circolare. Dove metterle? Basta ipocrisia: non possono arrivare stranieri cui sappiamo già di non poter dare un lavoro o una prospettiva degna. <Non le possiamo chiudere nei lager>. Va bene, ma nemmeno possiamo trasformare in Bronx le nostre città. La politica scelga. 

Rovereto non è distante da Firenze dove la scomparsa della piccola Kate ora va riletta nel racket delle case assegnate da bande criminali, nelle vendette incrociate di chi si prende gli spazi lasciati sguarniti dalla legalità. Chi non sa che ci sono pezzi di città italiane dove la Forza Pubblica non entra, dove lotta a mani nude? Ci vogliono le trasmissioni televisive per denunciare il racket delle assegnazioni illegali di alloggi? Ci vuole un giornalista che si prende le botte degli spacciatori o dei lori scagnozzi per illuminare strade e parchi dove si smercia droga h 24? Tra quanto scriveremo dei regolamenti di conti tra gang che agiscono per spartirsi il territorio o solo per il divertimento di dimostrare di essere più forti?

Mentre il Palazzo dibatte sul decoro di come “stare” nelle istituzioni, con quale vestito e con quali scarpe, il Bel Paese è lordato da chi arriva e s’accampa perché non ci sono altri spazi se non quelli da occupare. Quando vedi che le famose persone “già note alle forze dell’ordine”, che “i balordi già attenzionati” vivono – vivono… è vita questa? – scandendo le giornate consumando alcolici, pisciando e defecando alla vista di cittadini angosciati da un’ansia che non finisce in prima pagina perché non è di moda, e nessuno interviene perché non sai cosa fare dopo che li hai fermati, siamo vicini a una situazione dove i buoni parteggeranno per chiunque farà pulizia.

Tutti noi nelle nostre chat abbiamo ricevuto video di pazzi, talvolta pure nudi in strada, che minacciano, che urlano, che provocano, che pestano, se non addirittura brandiscono lame e tutti noi pensiamo a cosa faremmo se fossimo lì, in quella situazione. La risposta è nulla, perché non sai come va a finire. A Torino c’è un quartiere che si chiama Barriera di Milano che è completamente fuori controllo. A Roma come fai a stare tranquillo fuori da Termini? Potrei citare situazioni del genere in tante città. Allora, siamo alle solite: è inutile pensare che l’immigrazione non aumenti il disagio sociale, l’inquietudine delle persone e persino la violenza. Quando chi arriva diventa un invisibile, quella persona saprà come farsi vedere.

Il famoso buonismo verso chi arriva e non dovrebbe restare è ancora lì, uguale a prima. O si interviene ripristinando con la forza e il rigore il senso dell’ordine oppure qualcuno prima o poi lo farà sua sponte per disperazione. Non si può sempre pensare di cavarcela con “era lì nel posto sbagliato al momento sbagliato”, perché nessun luogo e nessun tempo ormai è protetto. Ora, il parlamento torni pure a preoccuparsi di quali scarpe indossare in aula, se davvero pensano che il decoro si limiti al loro spazio.