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Processo Grillo, domande choc, sdegno e proteste. Cos’è successo (e ciò che non vorremmo più sentire) VIDEO

Pubblicato il 01/02/2024 18:25 - Aggiornato il 01/02/2024 18:30
E’ iniziato ieri il processo a Ciro Grillo e agli altri coimputati nel procedimento per il presunto stupro che sarebbe avvenuto nella notte fra il 16 e il 17 luglio del 2019 a Porto Cervo. Nella villa di proprietà della famiglia Grillo. Sotto accusa, oltre al figlio del noto comico genovese, ci sono Vittorio Lauria, Edoardo Capitta e Francesco Corsiglia. Ieri, dopo la visione di alcune foto scattate quella notte, è stato proiettato in aula un breve video. A chiederne la visione è stato l’avvocato difensore di Lauria Antonio Vaccaro, che la riteneva necessaria per porre domande all’imputata a proposito della sua testimonianza. Ma proprio le domande poste dagli avvocati della difesa alla ragazza hanno sollevato un vespaio. Tanto che il legale di parte civile Dario Romano, alla fine dell’udienza, non è riuscito a trattenersi. “E’ stato un interrogatorio da Medioevo!”, il suo commento. (continua dopo il video) Giulia Bongiorno, avvocato della ragazza, ha anche ricordato che “Silvia” (nome di fantasia) ha risposto addirittura a 1400 domande in quattro udienze. “La mia assistita è estremamente vulnerabile”, ha rimarcato la Bongiorno. Per questo “Silvia” è uscita dall’aula durante la proiezione del filmato. E nel corso di un’udienza, tra le lacrime, ha confidato alla Corte di avere anche tentato il suicidio. “Dopo lo stupro di gruppo non avevo più voglia di vivere. Una sera mi misi a correre lungo i binari e volevo lanciarmi contro un treno in corsa. Volevo farla finita”. “Silvia” è seguita da una psicologa ed è sottoposta a una cura con farmaci per lo stress che sta vivendo. (continua dopo la foto)
Gli avvocati difensori, dopo l’inizio del procedimento, si sono detti soddisfatti. Secondo loro la presunta vittima “non era assolutamente provata” e “nelle risposte della ragazza sono emerse alcune contraddizioni”. Ma a finire sotto accusa, dopo la pubblicazione di alcune di esse sui quotidiani, sono proprio le domande poste alla ragazza. Per la quantità, ma soprattutto per il contenuto. Ne riportiamo qualcuna come esempio: “Se aveva le gambe piegate come hanno fatto a toglierle i pantaloni? Ci può spiegare come le sono state tolte le mutande? Che tipo di slip indossava? Ha urlato, pianto, opposto resistenza? Come mai non ha reagito con un morso durante il rapporto orale? Che cosa le ha impedito di tenere la bocca chiusa? Ha alzato il bacino quando le hanno sfilato gli slip?”. E molti altri quesiti diretti che riguardavano anche aspetti molto intimi. (continua dopo la foto)
Di fronte a questo noi restiamo increduli. Perché se è giusto che sia un processo a stabilire le responsabilità e la veridicità di un’accusa, è inaccettabile che la presunta vittima debba subire un simile trattamento. Quasi fosse lei la colpevole. Accusata per non avere reagito in modo “più appropriato”, come se durante un episodio di violenza una donna dovesse rimanere lucida. E come se i comportamenti delle vittime giustificassero gli aggressori. Non possiamo accettare di ascoltare ancora, nelle aule dei nostri tribunali, domande così sconvolgenti e brutali. Che sembrano uscite da un passato che speravamo di avere superato e dimenticato. (continua dopo la foto)
Da “Processo per Stupro”, film-denuncia del 1976 sul trattamento riservato alle donne in tribunale
Va infine ricordato che i fatti di quella notte hanno parzialmente coinvolto anche un’altra ragazza, Roberta. Che ha testimoniato di essere stata oggetto, mentre dormiva, di “immagini a fondo sessuale” con pose oscene e disgustose da parte degli imputati (escluso Francesco Corsiglia). Accusa che non è mai stata respinta, anche per la presenza delle immagini e di un filmato. Ma che i ragazzi hanno cercato di minimizzare definendola “una goliardata”. Il processo continuerà nei prossimi giorni. In un clima, come si può immaginare, particolarmente teso. E con molte domande sullo stato della nostra giustizia e sulla tutela delle donne, qualsiasi donna, che trovano il coraggio di denunciare una violenza sessuale subita.