Alla fine niente nome sul simbolo: “divide più che rafforza”, si rassegna Elli Schlein dimostrando di essere un corpo estraneo al partito. È durata giusto qualche ora l’idea di “colorare” la lenticchia elettorale, di caratterizzarla quasi come fosse un consiglio della sua armocromista. Ma il simbolo non è una giacca che si deve abbinare agli impegni elettorali, infatti è successo il finimondo. A cominciare da Romano Prodi: in effetti l’idea di personalizzare le Europee per poi non andarci, mi sembra una bella presa per i fondelli.
L’idea di brandizzare il simbolo non era mai venuta a nessuno, nemmeno a Matteo Renzi che in quanto a ego non ha rivali. Ma Renzi non si sarebbe mai sognato di scrivere il proprio cognome come elemento identitario perché, con tutti i limiti del ragazzo, egli era del Pd e nel Pd, ne riconosceva la liturgia e la sacralità dei paramenti.
La Schlein non è del Pd e per questo sta faticando a capire come si sta nel Pd, in una comunità che non trova più una identità. La segretaria si porta dietro i limiti di un battesimo avvenuto fuori dalla chiesa: le primarie come fonte battesimale, come vittoria che equipara le sardine e i movimenti al partito, che da quel momento in avanti faticherà ad allinearsi alle fughe in avanti della giovane leader. Non ultima quella di volere lo sguardo di Enrico Berlinguer come segno identitario delle nuove tessere del Pd, penalizzando ulteriormente la componente cattolica la cui importanza è ridotta al lumicino.
Elli Schlein arriva alle Europee con un partito che fatica in parlamento a contrastare il governo, che ha perso gli ultimi appuntamenti elettorali importanti e dove vince lo fa con candidati non suoi com’è successo in Sardegna. In Puglia, regione dove sperava di far valere il sindaco più amato d’Italia, Decaro ed Emiliano non riescono più a contenere le deformazioni di un sistema che credevano vincente e perfetto. Altro che baluardo della “questione morale”. Bari da ripartenza a capolinea.
Non è facile per il primo partito d’opposizione trovare sostanza quando persino la forma è crepata dalle inchieste o dalle contraddizioni. Si dicono contrari al presidenzialismo e poi la stessa Schlein annuncia di voler stampare il proprio nome sul simbolo, in piena grammatica leaderista, salvo poi dover fare marcia indietro pe i troppi contrasti. Sul pacifismo si fanno superare da Conte, abilissimo a sfruttare ogni spazio che la segretaria gli lascia. Sul lavoro, rilanciano il tema del salario minimo mettendolo a contrasto contro il precariato e lo fanno con una campagna di comunicazione in vista delle europee dove il precario è un rider del delivery: peccato che una di queste piattaforme di consegna del cibo (una delle più grosse) fosse sponsor del concertone del Primo maggio nell’ultima edizione.
Oggi, l’ultimo cortocircuito. Sul suo nome che scompare dal simbolo. Una premonizione?